Zorba il greco ed il suo coinvolgente Sirtaki riempiono d’un vigoroso fascino senza età il palco sotto le stelle del teatro di Verdura a Palermo. L’occasione suggella un successo di applausi scroscianti e bis a scena aperta.
È il ritorno, per la stagione estiva del teatro Massimo, d’un titolo tra i più amati della cultura greca, ad oggi inestimabile e riconosciuto capolavoro condiviso dell’umanità Zorba il greco. Zorba che, dalle pagine accese e tragiche del omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis saetta e illumina i frame iconici dell’adattamento cinematografico di Michalīs Kakogiannīs. Zorba che si incarna perfettamente nel divo Anthony Quinn lasciando dietro di sé una memoria indelebile e tramandata.
Zorba il greco diventa presto materiale duttile da teatro investito com’è negli assolati paradisi ellenici dall’originale sirtaki. Tale composizione musicale a firma Mikīs Theodōrakīs, appositamente ideata per il film di Kakogiannīs, raccoglie la tradizione melodico coreutica del syrtos e la inanella, sottolineandone l’impeto, alla folcloristica danza cretese pidikhtos.
Il sirtaki dunque come cosmogonia di Zorba il greco. La sua danza, braccio a spalla e slancio di gamba, trasposta in balletto dal coreografo Lorca Massine.
Lorca Massine, figlio d’arte (suo padre era Leonide Massine, coreografo, danzatore e attore russo ma attivo in Europa e Stati Uniti) costruisce uno spettacolo di grande pienezza e gusto, in cui coincidono armoniose leggerezza ed ebrezza, poesia e voluttà. Che poi altro non è che l’eterno dicotomico dell’apollineo e del dionisiaco, scivolati sui due personaggi centrali alla vicenda rispettivamente l’americano John ed il greco Zorba. Un affronto incontro che Massine forgia dentro una idea coreografica vitale, gorgogliante, ricca di verità e lustro. Probabilmente il segreto manifesto di un titolo che dalla sua prima rappresentazione, presso l’arena di Verona nel 1988, consta più di 5000 repliche.
Il teatro Massimo affida il personaggio di John l’americano al talento del danzatore Alessandro Casà. La bionda bellezza di Casà si lega magnificamente al lirismo ed al ricercato colore classico accademico modellato sul suo personaggio. John, in camicia e pantalone bianco, si bagna dello stesso sudore gaudente dell’amico greco e se ne lascia guidare, ammaliare. Lo affronta viso a viso, apertamente, giostrando audacia, spiritosaggine e bizzarrie in un coreutico crescendo di savoir-vivre.
A dar linfa vitale a Zorba, protagonista e motore dell’intera vicenda è invece il romeno Dan Haja, primo ballerino dell’Opera di Cluj Napoca.
Capelli e folta barba eburnei, occhi scuri ma abbaglianti come fari, le braccia spalancate, dirette, la schiena svirgolata un po’ propensa e provocante in avanti un po’ mollemente lasciva all’indietro. Al primo apparire, è lo Zorba che il pubblico si attende e Dan Haja lo danza magnificamente, con spiccatissimo brio e carattere. Zorba a tutto tondo, libertino con le sinuose danzatrici del ventre e poetico con la tenera madame Hortense (la danzatrice Massimina Giada Scimemi delicata, malinconica, vezzosa, felliniana).
Il corpo di ballo del teatro Massimo, dal canto suo, permea l’intero spettacolo d’uno spirito d’ensemble tanto raggiante quanto profondamente ferino.
L’idea che il balletto veicola è quella di una società arcaica. Gli uomini, pur ritti come chiodi, battono i piedi, in piccoli salti ritmici dalla sesta posizione. Le donne sono tutto un fremere di corpi fiammeggianti nelle gonne ampie e con le mani, spalancate al viso. Una società patriarcale che non perdona, alla vedova Marina, la sensualità disperata e languida che si espande dalla sua figura ieratica e dominante. Le fa muro ruotandole intorno, danzando e causandone la morte.
È la danzatrice Martina Pasinotti a restituire al personaggio della Vedova l’immensità ed il contrasto d’un eroina tragica. Marina è l’ossessione erotica dell’americano John: flessuosa lo inebria di se arcuando il busto sul ginocchio piegato di lui, ne sconvolge i sensi nei rotanti grand rond de jambe en l’air e negli imperiosi developpé alla seconda, si lascia trattenere con ardente brama nelle lunghe spaccate frontali. Pasinotti danza con fervore e passione, ogni tratto del suo movimento risulta legato ed evocativo. Una prova altisonante, da vera prima ballerina.
A fare la scena, la danza in tutta la sua forza e bellezza. Ma nell’economia dello spettacolo pervade, come un onda lunga la musica di Theodōrakīs, magnificamente eseguita dall’orchestra del teatro Massimo e diretta con amore e lievità dalla direttrice Danila Grassi. Lirismo e desiderio, arte e vigore popolare nei versi di Ritsos, Thalassinos e lo stesso Theodorakis ornano il canto, fuori campo, del coro del teatro Massimo.
Il sirtaki, sul gran finale, armonizza e cancella ogni asperità. Zorba il greco e John l’americano si ritrovano indissolubilmente complici e complementari, consegnati al mondo da immortali. Dai loro corpi ritmici e sincronizzati, il sirtaki si allunga tra le fila dei danzatori e delle danzatrici creando un unisono sempre più fastoso e liberatorio, sfociando poi tumultuoso nel balletto a cui Casà e Haja danno seguito e creatività, a mezzo di manège di grand jeté en tournant e fantasie spettacolari di grandi salti.
Ben 4 le chiamate alla ribalta tra incessanti applausi, altrettanti i bis, di cui l’ultimo con il sirtaki diretto sul podio dall’eccezionale Lorca Massine.