La Bella Addormentata di Matteo Levaggi è letteralmente pervasa da un’irrefrenabile carica innovativa, che si effonde in ciascun personaggio. Prima tra tutti la principessa Aurora che, inscenata da Romina Leone, brilla per intensità emotiva ed espressiva.
Il corpo della ballerina risulta morbido e voluttuoso come un petalo di rosa, in quel famosissimo adagio della Rosa al II quadro del I atto. Merito anche del nostro Levaggi che ha cambiato i connotati di un ballo cortese – tra Aurora e 4 principi spasimanti – in una sensualissima danza di seduzione della fanciulla, a piedi scalzi.
Aurora cresce orfana dei genitori dunque senza un autorità che la domini. Vive libera e selvaggia nel suo stesso palazzo, assecondando ogni suo impulso. La gola, la lussuria, il gaudio sfrenato, la curiosità d’una rosa bianca il cui lungo gambo pieno di spine finisce per pungerle le dita e addormentarla. E qui che Aurora diviene prima onirica, poi l’ossessione erotica del principe Désiré. Il corpo della Leone affronta, allora, due differenti registri coreutici in uno stesso quadro: dapprima lirico ed evanescente, in un secondo momento coriaceo ed esplicitamente libidinoso.
Aurora in attitude raccoglie le mani intorno alla caviglia lasciando che braccio e gamba formino un cerchio perfetto nel quale il principe Désiré tuffa le braccia e l’intero tronco.
Il principe Désiré, pensato da Levaggi come un inquieto ragazzo degli anni ’80 in blue jeans maglia di rete e sneakers bianche, è incarnato dal sempre talentuoso Michele Morelli. Désiré si perde nel bosco della sua gioventù solitaria ed errabonda, si lascia trasportare dal torpore eccitante dell’autoerotismo. Non si comporta da magnifico eroe. Il bacio salvifico che lo porta alla bella addormentata sembra più che altro pacificarlo con la propria sessualità compulsiva e maturarne il carattere.
Danzatore di innegabile eleganza e bellezza, Morelli ipnotizza il pubblico con i disegni perfetti che le linee dei suoi arti (nei salti come nelle sospensioni delle pose) tracciano nell’aria rarefatta del palcoscenico. La sua performance è come sempre ineccepibile, benché alle volte sfociante in un qual certo divismo.
Quattro note a parte vanno spese per la strega Carabosse, la Fata dei Lillà, Fosco (il servo della strega) e il paggio, un giovinetto incaricato di far le veci della principessa Aurora.
La strega Carabosse è interpretata dall’impetuoso Vincenzo Carpino. La figura della vecchia megera già nell’ottocento veniva affidata alla mimica, talvolta forzata, di un uomo.
Tale consuetudine viene da Matteo Levaggi riveduta e corretta a favore di uno straordinario personaggio maschile a tutto tondo. Carabosse (nome più neutro che prettamente femminile, fateci caso) si palesa dunque in vigorose sembianze virili, è si completa di un temperamento minaccioso dall’alto del suo fisico statuario. Leitmotiv della sua danza una pirouette a spirale, gamba e braccio opposti in attitude en avant. Coperto da un ampio mantello nero alla Dart Fener di Star Wars, Carabosse veste attillati pantaloni di pelle nera, stile sadomaso
Una concezione a parte delinea la sorte della benefica Fata dei Lillà. Levaggi decide infatti di affidare al superbo danzatore Andrea Mocciardini un ruolo cult della femminilità manierata da balletto russo di metà ottocento. Il risultato è un roseo personaggio bifronte.
Gambe lunghe, definite e slanciate nei grand jeté alla stregua di una grande étoile si contrappongono ad una presenza scenica che mixa esoterismo e una spiccata mascolinità che nulla concede alla leziosità. Un poderosissimo grand soute della Fata dei Lillà (con il piede di Mocciardini, freccia tesa contro il petto di Carpino) ammonisce Carabosse, dopo che ella ha lanciato il suo maleficio alla neonata. Scontro tra colossi.
Straordinario il personaggio, nuovo alla tradizionale Bella Addormentata ballettistica, di Fosco. Ispirazione direttamente pervenuta al coreografo dal celebre film Disney Maleficent egli è l’aizzatore, braccio destro e sobillatore della malvagia Carabosse.
Fosco è una sorta di X-man, metà corvo metà uomo. Uno scherzo della magia sulla natura, un ibrido languido e subdolo anche nella sua forma strettamente coreutica. A dargli efficacia scenica e piglio drammaturgico il prodigioso danzatore Vito Bortone.
Il Paggio, infine, portato in scena dal ballerino Alessandro Cascioli, è una figura ludica e lieve. Per Levaggi, è un capriccioso ragazzetto maestro di divertimenti e gaudio, vivente all’ombra della regale amica e protetta. Il Paggio ha moltissime parti in assolo, che il nostro Cascioli con estremo agio sostiene grazie alla sua proverbiale tecnica saettante e il sorprendente snodarsi, quasi contorsionista, delle anche e del bacino sul resto del corpo.