Un monumento ai caduti su un palcoscenico; un luogo tetro, funereo di scarlatti lumini da lapide e gonfio di parole. Ricci/Forte, dirompente duo drammaturgico del teatro contemporaneo, immerge letteralmente nella fossa comune di questo mesto “milite ignoto” la sua sofferta e rabbiosa orazione performativa dedicata alle vittime dell’olocausto dell’omofobia, questo è STILL LIFE. Nulla è tenuto nascosto: nomi, età e tragiche fini ed esperienze sono presentati agli astanti in un lungo e dolente encomio, scevro di redenzione. L’omofobia spiegata, discussa, messa in mostra, affrontata di petto e infine contrapposta all’amore, al desiderio di sentirsi vivi e apprezzati, alla luce di un bacio. La veridicità d’un incontro su un tema dell’oggi, che scuote le coscienze bloccando vigorosamente il festival della pietà, inutile quanto dannoso.
L’orazione procede dall’inconscio di giovani lesbiche e omosessuali. Li si vede sprofondare nell’impietoso baratro onirico di una regina di Cuori che falcia le teste di chi non risponde ad omologazione; li si osserva, mentre, incatenati prigionieri e spersonalizzati strisciano sulla terra come vermi informi, sorridendo con espressione artificiale.Si resta interdetti nell’assistere ai loro vani tentativi di tornare a respirare, di riemergere; essi restano vinti e soffocati in una candida tormenta di piume che, ancora una volta, tutto cela. Segue il martirio fisico del corpo innocente. Un passaggio cruento, dove la ferocia e la bestialità di un gruppo -in senso lato- insozzano bianche membra nude, inermi e indifese.
E’ il tableau vivant della vessazione corporea odierna; una sorta di moderno martirio rituale noto al nostro perverso sentire comune. Una tortura che andrebbe urlata e gridata ma invece, spesso, viene interiorizzata come un ritornello pop ad alto volume, fino a spostare il ricordo del male in una visione altra, quasi giustificabile.
L’epifania splendente di un bacio, che dilaga soave per tutta la sala, trova conforto e sostegno in una sua definizione enciclopedica. E’ come se l’atto d’affetto più importante dell’umanità, abbia bisogno d’essere incasellato in una formula fisico-matematica per poter sopravvivere nei tempi. Al volo fragile di uno, così come di cento e mille baci si sovrappone il truce macello dei cuori. La mensa grondante sangue di un redivivo conte Ugolino che, colpevolmente, strazia le carni e digrigna i denti. E’ il cenacolo dei sentimenti, offesi e compianti, perché in realtà “Ci sono peggiori cose che potrei fare“.
Quando nasciamo e quando moriamo generiamo travaglio, nel suo caos chi ci sta intorno perde l’abituale cinismo e disegna voli pindarici, magnifici. Una coppia di madri -single, coniugate, etero, omo- ansimano e gemono nel dare alla luce il loro primo figlio o nel seppellirlo: la loro felice sofferenza le rende protagoniste di un tortuoso gioco di buoni propositi o di affrante buone occasioni mancante.
Al saldo della serata restano un ciclone di frasi non proferite, desiderose di farsi vele ma sferzate e squarciate via, senza riguardo e pietà alcuna.
Riaffiorano visi tra i vuoti a forma di persona. Permane il fulcro di una nuova alba, ancora troppo in là da venire, mentre tutt’intorno è ancora desolazione e morte. Si incidono nell’etere le parole “vorrei che fosse oggi, in un attimo già domani, per iniziare per stravolgere tutti i miei piani, perché sarà migliore ed io sarò migliore!” mentre una processione di persone comuni e speciali espone una piccola parte di se stesse, deponendo un
nome caro, proprio, amato!
Sulla scena spicca un ensemble d’attori potente e audace, sono: Anna Gualdo, Giuseppe Sartori,Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta e Simon Waldvogel. Tutti ottimi esecutori di una scrittura scenica materica, che infuria e si illanguidisce, si lascia contorcere, liquefare e sgretolare… per non perdere il coraggio, non lasciarsi stordire e sopratutto non tradire.
Al teatro Biondo Stabile di Palermo, fino a domenica 29 novembre 2015.