Una luce fredda e tagliente rischiara l’intero golfo mistico del teatro Massimo, sembra il fulgore della lama affilata di una spada; all’entrarvi ci si sente rapiti, scagliati, in una dimensione germanico-epica. Il palco, tuttavia, è aperto e vi si staglia, quasi a precipizio sul proscenio, un moderno bilocale dall’arredo umile e rozzo (l’antro del bosco in cui il viscido e arrivista nano Mime vive, custodendo il giovane orfano Siegfried). In questa atmosfera che amalgama e contrappone il glorioso mitologico con le quotidiane trame della vita comune, si sviluppa l’idea rappresentativa che il noto regista Graham Vick ha del Siegfried di Richard Wagner.
Del resto, questo monumentale e impegnativo terzo tassello della tetralogia del wagneriano L’anello del Nibelungo reca in sè il tema della contrapposizione tra l’uomo e la divinità e di quest’ultima ne inizia, tra l’altro, a descrivere il declino. Siegfried rappresenta l’essere umano
nuovo non legato al passato; egli non sa nulla delle manovre del Dio Wotan e della storia dell’anello del potere. Siegfried è il protagonista indiscusso dell’intera vicenda, su di lui la regia di Vick si concentra con attenzione ossessiva, rendendolo cardine di tutto anche quando non è in scena. Sembra un liceale in eskimo, t-shirt e Converse; è un personaggio “puramente umano” e in quanto tale è irrequieto e forte, innocente e arrogante come un qualsiasi adolescente. Un giovane eroe che non conosce la paura nel’affrontare draghi e selve oscure -in questa sede, metafore visive dell’ostica società corrotta dell’oggi- e neanche gli Dei.
Ad interpretare questo magnifico eroe terreno il tenore Christian Voigt. Questo straordinario artista dotato di una voce lirica energica e ampia, colorata da sovratoni udibili anche da lontano (assolutamente atipico per le vocalità drammatico-ardimentose della tradizione wagneriana), dipinge un personaggio iperattivo e in piena evoluzione: è un bambino che ha “domato” il suo orsacchiotto di peluche e che vagheggia una madre mai conosciuta; subito dopo è un adolescente che riforgia da solo la spada Notung appartenuta a suo padre e, dopo aver tagliato via la testa al suddetto peluche, trancia via ogni rapporto con il suo recente passato e parte per il mondo, bramoso di conoscere e sperimentare . Egli diviene un ragazzo che agisce con l’impulso piuttosto che con la ragione, rifiutandosi di riconoscere una qualsivoglia autorità e scontrandosi con ogni impedimento rintracciato sul suo cammino.
Al mondo dell’incanto appartengono tutti i personaggi dell’esistenza di Siegfried; essi la permeano di magico e al contempo la spalancano verso l’evoluzione del suo Io. Così accade compiutamente durante il III atto allorquando Siegfried raggiunge la vetta sulla quale, cinta da un cerchio di fiamme (un vorticoso e smanioso “balletto” di mimi guizzanti sotto fari rossi), giace addormentata nel sortilegio di Wotan la walkiria Brünnhilde (la celestiale soprano Meagan Miller).
All’eroe basta un bacio per ridestare la fanciulla, mentre la musica si apre e diviene splendente nell’orchestrazione. Ebbene, al meraviglioso e romantico in pieno stile Bella addormentata dei Grimm, si frappone il primo convulso contatto del ragazzo con il femminile. Nell’approcciarsi ad un corpo “altro” e nuovo, nel sentire il divampare del desiderio, nel prendere coscienza dell’amore, egli scorgerà in sè un primo autentico turbamento erotico e ,dunque, concretamente “mortale”. Tuttavia, questa sarà la chiave di volta che lo condurrà alla totale maturazione (non per nulla Siegfried prima di baciare Brünnhilde si sfila i pantaloni, come pronto a deflorarla). Siegfried darà, inoltre, a Brünnhilde l’opportunità di godere del suo essere divenuta donna, lasciando ad uno sbiadito ricordo il suo virginale status di Dea walkiria. I due si abbandonano perdutamente l’uno tra le braccia dell’altro sulle note di un inno idilliaco “amore lucente, morte ridente”.
Dirigere quest’Opera è una vera impresa per ogni buon direttore d’orchestra; è necessario trovare sempre un fil rouge che garantisca l’unità nella corposa orchestrazione delle temute frasi musicali che appaiono di volta in volta ferventi, immense, minimali, oscure e, specialmente nel II atto, nettamente scisse le une dalle altre. A riuscire egregiamente nell’impresa (davvero perigliosa, se in sala sono presenti esigenti esperti della musica di Wagner) il coraggioso e puntiglioso maestro Stefan Anton Reck.
La prima è andata in scena il 18 Dicembre 2015 presso il teatro Massimo di Palermo. Repliche dell’Opera sono previste, ancora: domenica 20 dicembre 2015,Mercoledì 23 dicembre,Domenica 27 dicembre e Martedì 29 dicembre. L’inizio dello spettacolo è previsto per le 17:30. L’Opera ha una durata di 4 ore e 15 minuti.