Tre date sold out (due ancora a venire che si prospettano ugualmente gremite), un successo di pubblico unanime; questo il Romeo e Giulietta, da Shakespeare ma con l’approccio fresco e acuto di Nicasio Anzelmo, in scena al teatro antico di Segesta.
Si impone ancora, nel pieno di quest’era digitale, Romeo e Giulietta il capolavoro assoluto di Shakespeare. Lo fa a mezzo della fascinazione suggestiva del suo testo, la forza trascinante delle emozioni e dell’amore che con naturalezza e delicatezza sempre evoca nonché delle molteplici possibilità espressive di cui si fa promotore. Materia duttile e pregna di idee nelle intenzioni plasmanti di un regista acuto e ispirato qual è Nicasio Anzelmo.
Il titolo amatissimo funge da richiamo; Anzelmo restituisce uno spettacolo di buon livello, compendio d’una arte scenica prolifica, originale ma in qualche misura, allo stesso modo, classica.
L’incipit celeberrimo del dramma “Due famiglie, onorevoli entrambe per grado, vengono alle mani nella bella Verona” presentato da una voce narrante di shakespeariana maniera (o perlomeno come ce la si aspetterebbe) funge da sipario per la prima vorticosa scena. Sul leitmotiv strillato dell’animalesco e provocatorio “io mi mordo il pollice” l’intero cast si riversa sul palco coagulandosi in una dirompente coreo-battaglia.
Si percepisce da subito, solida e ben orchestrata dal regista, la volontà di scindere il dramma in due “luoghi” drammaturgici di differente carattere. Il “luogo” della verbosità poetica di Shakespeare avviluppato alla logica delle convenzioni, dei ragionamenti, dei sentimenti accesi e dei delitti . Ed un secondo “luogo” istintivo carnale, intimo, tanto delicato e lirico nei due protagonisti quanto feroce nella animosità talvolta cieca di coloro che li circondano, affidato alla eloquenza dei corpi nella loro potenza mimica, virulenta e coreutica.
L’integrità del testo che trascolora nella danza pura. Le forme del balletto e della più esasperata ed elegiaca pantomima che si fanno magniloquenza d’amore, di piacere e di ineluttabile morte.
L’intero cast, valente e quanto mai eterogeneo per età e cultura attorica, contribuisce alla creazione scenica di sì pensati “luoghi” drammaturgici arricchendone altresì i paesaggi di ispirazioni altre e cangianti.
Così il Mercuzio vivacissimo, ambiguo ed equivoco di Nicolò Giacalone e allo stesso modo la Balia boccacesca, sanguigna, schietta della attrice Monica Guazzini. Figure espanse e spassose, a metà tra guitti e maschere da commedia dell’arte, entrambi tuttavia eccelsi nel mutare registro, tuffandosi in picchiata, nel tragico.
Stentoreo e solenne, come da razionale intendimento lo si immaginerebbe, il Padre Lorenzo di Giovanni Carta. O ancora Benvolio, cugino di Romeo, descritto da Marco Valerio Montesanto con pennellate di rilassata confidenzialità fraterna nei toni dell’eloquio e dell’interazione fisica.
Intrisi di una palpitante, inarrestabile seria leggerezza i Romeo e Giulietta interpretati dai giovani attori Simone Coppo ed Eleonora De Luca.
Lui corpo tonico e scattante, lei longilinea ed eterea come una bimba; abbandonati ad una languida carezza degli sguardi (nel ballo in casa Capuleti, mentre Giulietta si lascia trascinare passiva in un tango prepotente dal conte Paride) come ad un amplesso struggente di linee nel vento e spirali d’arti (nella suggestiva notte d’amore in blu zaffiro, prima dell’esilio di Romeo). Coppo e De Luca infondono realismo e slancio vitale ai loro Romeo e Giulietta.
Un recitare giocoso, gentile, arguto e partecipato quello che dischiudono i due attori al pubblico. Una performance ad ogni piè sospinto ricolma dell’allegria, del vigore, della bontà, dei turbamenti e delle questioni adulte, che ingigantiscono ed inibiscono ogni buona risoluzione; elementi in cui gli odierni adolescenti potrebbero con facilità riconoscersi. Così Romeo e Giulietta escono dal recondito del 1500 e non è cosa da poco per due giovani attori.
Nessun balcone fisico separa Romeo e Giulietta, nell’iconica scena. Non vi è che una striscia di luce e le pietre antiche della cavea del teatro da attraversare per tornare ad abbracciarsi. La romantica odiata barriera artificiale che svanisce, quasi un dono d’amore di Anzelmo a questi incantevoli sempiterni giovani innamorati.
Foto courtesy Parco Archeologico di Segesta e Lorenzo Gigante