Un viaggio in Cile che va anche indietro nel tempo. Nel doc Santiago, Italia Nanni Moretti fa parlare i rifugiati che sfuggirono alla dittatura nel 1973.
Italia/Francia/Cile, 2018 – di Nanni Moretti. Documentario
In un momento in cui si fatica a individuare nella nostra nazione comportamenti altruistici o solidali e i motivi di prestigio sono pochi, un istruttivo sguardo a un passato più nobile e l’intrinseca affermazione del valore della memoria paiono spunti bellissimi e rari, non solo in campo cinematografico. Prima di adattare il romanzo Tre piani, Moretti torna al documentario, già frequentato in forma di corto o mediometraggio (La cosa), proponendo un confronto tra luoghi ed epoche.
Lo fa defilandosi, a dispetto di trailer e locandina che esaltano le sue due brevi entrate in campo, dando voce invece a coloro che vissero il tragico golpe cileno dell’11 settembre 1973 durante il quale, a suon di bombardamenti della Moneda (cioè il palazzo del governo), fu deposto e ucciso (o indotto al suicidio) il presidente democraticamente eletto Salvador Allende. Alla guida del Paese s’installò il feroce Pinochet, che perseguitò ogni oppositore o presunto tale.
In tanti trovarono rifugio nell’ambasciata italiana a Santiago, scavalcando coraggiosamente il muro in attesa di riparare a Roma, dove furono accolti e smistati, integrandosi e imparando la lingua. I loro ricordi, quelli di chi li aiutò e di chi, fra osservatori e intellettuali, restò testimone quasi impotente di ciò che accadeva (fra loro i cineasti Miguel Littín e Patricio Guzmán) sono schematicamente apposti, senza arretrare di fronte alla commozione. Il regista, non imparziale, come sottolinea, incontra pure un paio di aguzzini, lasciando che le loro argomentazioni li qualifichino.