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Resident Evil: The Final Chapter – Recensione

The Final Chapter è il sesto episodio della nota saga cinematografica di Resident Evil, basata sull’omonimo videogioco dallo stile horror survivor. Il nostro critico cinematografico l’ha recensito per Verve

id., USA/Francia/Germania/Canada/Australia/Giappone/Sudafrica/GB, 2016  di Paul W.S. Anderson con Milla Jovovich, Ali Larter, Iain Glen, Eoin Macken, William Levy, Ruby Rose, Shawn Roberts, Fraser James

Dal popolare videogame  della Capcom è discesa un’insospettabile saga cinematografica, diretta quasi per intero da Paul W.S. Anderson (fanno eccezione solo il secondo e il terzo capitolo, Apocalypse ed Extinction, rispettivamente di Alexander Witt e Russell Mulcahy).

Dal 2002, anno del primo film (di gran lunga il più appassionante), al 2012, data in cui uscì il confusionario Retribution, ben cinque lungometraggi, che hanno introdotto nuovi personaggi e ne hanno ripescati di vecchi, senza mai alterare la formula: combattimenti, sparatorie, scontri con mostri (anche umani) e orde di zombi (ossia il resto della popolazione globale dopo una sciagurata decimazione).

L’eroina e indiretta causa del danno, Alice (l’atletica Jovovich, per chi non lo sapesse moglie del regista), in questa sedicente “puntata” conclusiva (prosecuzioni, magari in tv, non sono affatto da escludere) ritorna alla Umbrella Corporation, dove tutto cominciò, in cerca di un antidoto all’epidemia mondiale.

Rincontra l’amica Claire (Larter), riaffronta di persona – forse – il cinico dr. Isaacs (Glen, perfettamente in parte), riforma uno squadrone d’assalto (con le obbligatorie “quote rosa” rappresentate dall’attiva Rose e dalla modella/cantante giapponese Rola). Insomma, rifà molte cose. Il che ci fa intendere che siamo di fronte a un prodotto magari leggermente migliore del precedente episodio (le gravi condizioni in cui versa il nostro pianeta trapelano adeguatamente perfino in un contesto simile), ma pur sempre generato da una serie già tirata per le lunghe.

 

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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