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Recensione: Yesterday

Commedia su un musicista che si ritrova in un mondo senza Beatles, Yesterday è stato scritto dall’acuto Curtis. Un film da godersi senza porsi troppe domande.

id., GB/Russia/Cina, 2019  di Danny Boyle con Himesh Patel, Lily James, Joel Fry, Kate McKinnon, Ed Sheeran, Sanjeev Bhaskar, Meera Syal, Sophia Di Martino

Nello spunto dello scattante script di Richard Curtis qualcuno potrebbe ravvisare una – non così peregrina – somiglianza con una celebre scena di Non ci resta che piangere. E diciamoci la verità: i presupposti che dovrebbero puntellare l’idea (per certi versi geniale) sono talmente numerosi che è meglio non mettercisi nemmeno. Conviene invece lasciarsi trasportare – oltre che dagli immortali brani – dagli eventi proposti dalla surreale trama, rinvigorita da un cast all’altezza e da autoironiche partecipazioni (in primis Ed Sheeran as himself).

Dopo essere stato investito mentre era in bici durante un blackout di appena una dozzina di secondi (ma di proporzioni globali), il magazziniere e musicista dilettante ormai orientato a gettare la spugna Jack (Himesh Patel, appuntiamocelo) si sveglia in ospedale con la fedele amica e incrollabile manager Ellie (sempre gradevole Lily James) a tenergli la mano, in una dimensione in cui – emerge – i Beatles (e non solo) non sono mai esistiti. Per il riconosciuto valore di melodie e testi dalla conclamata universalità e inossidabilità al tempo che passa, riuscire a ricomporre i loro album implica successo sicuro, rapido, indiscutibile. Le lusinghe della fama e della ricchezza obnubileranno il nostro al punto di non percepire l’amore di chi gli sta accanto? E il rimorso e l’intrinseco timore di essere scoperto (magari non è l’unico a ricordarsi dei Fab Four)?

La parabola è servita; però provate a non cantare… Strano che manchino i sottotitoli, soprattutto in alcune fasi “creative”.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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