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Recensione: Il viaggio di Yao

Omar Sy si conferma interprete sensibile di storie adatte a tutti. E stavolta, attraverso un personaggio famoso in cerca delle sue radici, fa anche autoanalisi.

Yao, Francia/Senegal, 2018  di Philippe Godeau con Omar Sy, Lionel Louis Basse, Fatoumata Diawara, Gwendolyn Gouvernec, Alibeta, Germaine Acogny, Ismaël Charles Amin Saleh, Fatimata Kane

Omar Sy rappresenta ormai anche in Italia una garanzia. I caratteri che interpreta sono intrisi di buoni sentimenti, all’insegna della commozione per famiglie. In tale ottica questa sua recente fatica è già la summa di un divo che si pone delle domande, soprattutto sulle sue origini. Già, perché Seydou, attore di successo francese con radici senegalesi, al centro della vicenda narrata qui, ha evidentemente molto in comune con il nostro.

A Dakar per firmare la sua autobiografia, l’illustre visitatore incontra Yao (Lionel Louis Basse), che ha avventuorosamente percorso più di 300 Km per incontrarlo. Colpito dalla forza di volontà del ragazzino, decide di riaccompagnarlo al suo villaggio, prima in un poco affidabile – secondo criteri cittadini – taxi, poi con una sgangherata auto d’occasione. Pressato dal pensiero del rientro, l’uomo, un “bianco dentro” con vuoto familiare, complice il suo nuovo giovane amico (quasi un figlio, ça va sans dire: c’è di mezzo pure un confronto generazionale), si sintonizza pian piano su un ritmo di vita (e di contemplazione) diverso, “caldo”, probabilmente ancestrale.

Lo spunto può apparire banale (e scontato), tuttavia il partecipe regista Godeau ne eleva la sincerità. Le aspirazioni contenutistiche sono più alte dei risultati (l’impresa di contrapporre Europa e Africa, oltre a non essere inedita, va problematizzata), ma tirando le somme va bene così. Mancano però cenni visivi sul mestiere del protagonista e un chiarimento sulla fruizione del cinema in un piccolo centro nei pressi dell’equatore…

 

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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