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Recensione: Un’avventura

Le canzoni di Battisti compongono la trama di Un’avventura, coraggioso esempio di musical all’italiana. Laura Chiatti e Michele Riondino se la cavano bene.

Italia, 2019  di Marco Danieli con Michele Riondino, Laura Chiatti, Valeria Bilello, Thomas Trabacchi, Giulio Beranek, Gabriele Granito, Barbara Chichiarelli, Alex Sparrow

A metà strada tra il musical moderno in stile La La Land (che non richiede grande agilità fisica o eccessive abilità canore) e gli abbondantemente estinti musicarelli nostrani, l’ardimentosa opera seconda di Danieli (successiva all’assai diverso La ragazza del mondo, già interpetato dal bravissimo Riondino) s’inscrive di diritto nello sperimentalismo in atto nel cinema italiano, proteso alla rielaborazione e all’adattamento di generi meno frequentati.

Non che manchino dei precedenti pure in tal senso (Questo piccolo grande amore, con le canzoni di Baglioni – non intonate dagli attori – a far da sfondo e commento, benché risalente a dieci anni fa, dove lo mettiamo?), ma va detto che servirsi degli immortali testi di Lucio Battisti (e Mogol), ormai penetrati nella cultura popolare, per raccontare e drammatizzare la tormentata storia d’amore, tra la natia Puglia e Roma, di due giovani degli anni ’70 (l’altra è Chiatti: bella voce!) è un’idea quantomeno interessante. Anche ben condotta, in più di un passaggio (vedi le coreografie di Dieci ragazze per me e Non è Francesca, rivisto come un tango della gelosia).

Certo, mancano pezzi importanti (29 settembre, La canzone del sole, Il tempo di morire, 7 e 40…), e magari sarebbero state scelte fin troppo scontate, ma, al di là delle (varie) imperfezioni, è un film rispettabile, confezionato con professionalità. Anzi, da incoraggiare. A cantare, comunque, sono (quasi) esclusivamente i protagonisti. Nel cast si distinguono i rispettivi “rivali” Trabacchi e Bilello; cameo per Diodato.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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