Un’ipotesi di spiritualità proporzionata ai tempi (grami): è Troppa grazia, nuova (tragi)commedia di Zanasi. Che fa centro, malgrado un minutaggio da ridurre.
Italia/Spagna/Grecia, 2018 – di Gianni Zanasi con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron, Rosa Vannucci, Carlotta Natoli, Thomas Trabacchi, Teco Celio
Esce lo stesso giorno de Il vizio della speranza di De Angelis il nuovo film di Gianni Zanasi, già intelligente autore di Non pensarci e La felicità è un sistema complesso (entrambi con Battiston nel cast, riconfermato anche qui); due titoli che ripensano, con toni diversi, la figura della Madonna in tempi moderni (e ingrati). In questo frangente si tende al sorriso, benché nell’impasto di base ci siano dei grumi che allungano eccessivamente la durata.
Lucia (Rohrwacher), geometra da poco allontanatasi dal compagno (Germano) abituata alla furberia e al compromesso però sostanzialmente onesta, viene incaricata di fare dei rilievi su un terreno destinato a un magniloquente progetto. I conti non tornano, era immaginabile, e in più le si palesa una battagliera Vergine (l’attrice israeliana Yaron, pure lei con il regista nel suo lavoro precedente), che le ingiunge di costruire una chiesa in quel luogo.
Non credente e incredula, la donna, che ha una figlia a carico (Vannucci), si oppone perfino fisicamente alla richiesta. Nasce un caso mediatico, eppure nemmeno una dimostrazione apparentemente inspiegabile pare sortire effetti. Che si fa, allora, in un sistema irrimediabilmente corrotto?
Non è un’opera rabbiosa; piuttosto, si ipotizzano, in guisa di monito, le conseguenze di un collasso. Senza contare che, a ben guardare, rimane equilibratamente aperta la possibilità che la protagonista stia vaneggiando. Ma non avrebbe importanza: la pellicola assolve comunque la sua funzione di felpata denuncia.