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Recensione: The Quake – Il terremoto del secolo

Ricorda i catastrofici americani di una volta, The Quake – Il terremoto del secolo. Un sequel ad alto budget norvegese che gioca con delle paure giustificate.

Skjelvet, Norvegia, 2018  di John Andreas Andersen con Kristoffer Joner, Ane Dahl Torp, Edith Haagenrud-Sande, Jonas Hoff Oftebro, Kathrine Thorborg Johansen, Stig Amdam, Per Frisch, Hanna Skogstad

Negli anni ’70 (e ’80, in parte) il cinema USA faceva incetta di temi catastrofici correlati alla furia degli elementi, basti pensare a titoli come Swarm – Lo sciame che uccide, Ormai non c’è più scampo, Uragano o Terremoto. A quest’ultima calamità guarda pure il regista John Andreas Andersen nella mega-produzione norvegese in esame, che riprende la famiglia protagonista (interpretata dagli stessi attori) e gli sceneggiatori (John Kåre Raake, Harald Rosenløw Eeg) del da noi inedito e consimile The Wave (2015).

Lo sbattuto geologo Kristian (Kristoffer Joner), eroe suo malgrado, vive separato dalla non più empatica moglie Idun (Ane Dahl Torp), in totale isolamento, nell’ossessione che la zona di Oslo sia colpita da un tremendo sisma. La morte d’uno stimato collega in esplorazione lo porta a lanciare un allarme, soprattutto per proteggere l’amata ex-coniuge e i figli Sondre e Julia (Jonas Hoff Oftebro ed Edith Haagenrud-Sande), con i quali non lega soprattutto a causa delle sue febbrili ricerche. Superata la prima metà, moderatamente noiosa, i momenti in cui prova a convincere l’uno via cellulare ad abbandonare l’università e si spende per salvare l’altra – con il prezioso aiuto della malcapitata Kathrine Thorborg Johansen – in un edificio inclinato (dopo la brutta situazione in ascensore condivisa con la consorte) sono emozionanti.

Resta l’obiezione di rito: è il caso di spettacolarizzare – con effetti speciali sorprendentemente all’altezza – la minaccia (peraltro circostanziata e dimostrabile) di eventuali tragedie naturali?

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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