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The Midnight Man: la recensione di Verve

Deludente rifacimento di uno sconosciuto film irlandese, The Midnight Man non osa uscire dal seminato. Si salvano solo i divi.

id., USA/Canada, 2016  di Travis Zariwny con Gabrielle Haugh, Lin Shaye, Robert Englund, Jack Grayson Gabriel, Emily Haine, Michael Sirow, Summer H. Howell, Keenan Lehmann

Attingendo da un piccolo, quasi omonimo (manca “The” nel titolo), da noi ignoto horror irlandese del 2013 firmato da Rob Kennedy, il non entusiasmante Travis Zariwny confeziona un prodotto povero, non solo di mezzi (si può citare un reparto su tutti: quello del make up), ché non è mai una colpa, ma anche e soprattutto di idee.

D’altronde il soggetto prende le mosse dalla solita creatura notturna mangia-ragazzi, evocata da un antico gioco dalle sinistre regole (candele accese, cerchi di sale, ecc.) in cui incappa incautamente la già traumatizzata Alex (Gabrielle Haugh), la quale si è trasferita nella lugubre casa della nonna parzialmente svanita (però non smemorata) per prendersi cura di lei. Coinvolti due non meno problematici amici (che hanno i volti di Grayson Gabriel ed Emily Haine), l’adolescente ingaggia una partita suo malgrado sleale, dove la posta è costituita dalle peggiori – nonché scontate – paure di ognuno (ulteriore espediente logoro).

Il film risulta davvero parecchio datato nelle soluzioni visive, improbabile negli sviluppi (fatte le dovute proporzioni, ovviamente) e tremendamente approssimativo nel tratteggio psicologico dei pochi personaggi in campo, peraltro ulteriormente immiseriti da una recitazione scolastica. Da quest’aggravante sono assolte, d’ufficio, due sprecate star del genere: Lin Shaye (dalla valida saga Insidious), nel ruolo della vecchia parente della protagonista, e il mitico ex-Freddy Krueger Robert Englund, che per la verità da un po’ non si (s)ve(n)deva.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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