Home / CULTURA / CINEMA / Recensione: The Lodge

Recensione: The Lodge

Una coppia (professionale) di registi austriaci per un horror canonico, che però sa il fatto suo. The Lodge si distingue per i suoi tratti essenziali.

id., USA/GB/Canada, 2019  di Severin Fiala, Veronika Franz con Riley Keough, Jaeden Martell, Lia McHugh, Richard Armitage, Alicia Silverstone, Daniel Keough, Katelyn Wells, Lola Reid

Ogni tanto spunta un horror che, pur non dicendo granché di nuovo, si distingue per equilibrio stilistico e, volendo, per chiarezza d’intenti. I registi austriaci Severin Fiala e Veronika Franz, nipote e partner d’un cineasta importante, cioè Ulrich Seidl, giunti al primo lungometraggio in lingua inglese, delimitano il campo: classico luogo sinistro (una baita di montagna innevata), spiegazioni logiche, pochissimi personaggi (con immancabile cane).

Si comincia dalla drammatica uscita di scena della depressa Laura (Alicia Silverstone, pochi memorabili minuti a informare l’intero film), che indirettamente aumenta la disapprovazione dei figli Aidan e Mia (Jaeden Martell – precedentemente accreditato come Lieberher – e Lia McHugh) nei confronti della pur gentile nuova compagna del relativamente incosciente padre (Richard Armitage), la quale forse non a caso porta il nome della protagonista di Dogville, Grace (la bella Riley Keough, discendente di Elvis, già “sposa” in Mad Max – Fury Road e sfortunata girlfriend ne La casa di Jack), e si porta appresso un pesantissimo trauma infantile. È proprio tale passato a far dubitare lo spettatore allorquando iniziano a manifestarsi bizzarri fenomeni nell’isolata abitazione in cui deve rimanere per qualche giorno da sola con i ragazzi, nemmeno loro particolarmente affidabili.

Dunque, non si sa a chi credere, a favore della suspense, e alla fine è interessante individuare anche i rapporti di causa-effetto. Strani punti di contatto con Hereditary – Le radici del male e La ragazza d’autunno.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*