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Recensione: Terminator – Destino oscuro

Avventura no 6 (o no 3?) della serie fantascientifica creata da Cameron. Terminator – Destino oscuro si distingue per il vigoroso cast femminile.

Terminator: Dark Fate, USA/Spagna/Ungheria, 2019  di Tim Miller con Linda Hamilton, Arnold Schwarzenegger, Mackenzie Davis, Natalia Reyes, Gabriel Luna, Diego Boneta, Tristán Ulloa, Enrique Arce

La notizia è questa: il sesto capitolo della saga Terminator registra il rientro di “papà” James Cameron nelle vesti di co-autore del soggetto e produttore, riallacciandosi al secondo capitolo (Il giorno del giudizio, 1991!). Tanto, come viene spiegato, ci si muove in un contesto di futuri alternativi, quindi le catastrofiche ipotesi sciorinate dalle pellicole seguenti, ancorché basate su un mondo dominato da macchine, non sono altro che possibilità sventate. Anzi, qui temerariamente arriva da un domani “fallito” un letale T-800 con rimorsi(!). Andiamo con ordine.

La messicana – ma le locations sono ispanico-ungheresi – Dani (Reyes) è una combattiva operaia (già mal disposta verso l’automatizzazione industriale) che si ritrova inseguita da un malintenzionato REV-9 (l’imperturbabile Luna), pericoloso cyborg “doppio” (il rivestimento in mercurio può separasi dall’esoscheletro). In aiuto della ragazza giunge (anche lei dall’avvenire) la misteriosa Grace (Davis), donna meccanicamente potenziata che però riceverà l’ulteriore, provvidenziale appoggio della mitica Sarah Connor (bello rincontrare la grintosa Hamilton!).

Un’allineata declinazione al femminile, con il tardivo apporto – oltre metà film – di Schwarzenegger; con il suo ingresso il discorso si fa un po’ più ambiguo (ha un arsenale casalingo per difendere la famiglia, benché si specifichi lucidamente che l’umanità è comunque avviata verso l’autodistruzione). Il regista Miller (Deadpool) imprime un buon ritmo e infila simpatiche citazioni (gli iconici occhiali da sole…).

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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