Ennesimo cartone animato, simile a tanti altri. Non che a Tappo – Cucciolo in un mare di guai manchino i numeri, ma il divertimento è stiracchiato.
Trouble, USA /Canada/Isole Cayman, 2019 – di Kevin Johnson. Animazione
L’uscita del film di Kevin Johnson, che vede fra i produttori la vecchia volpe del settore Conrad Vernon (in curriculum uno Shrek, un Madagascar e il recentissimo La famiglia Addams), ci dà l’occasione di riflettere sull’attuale mondo dell’animazione. Fino a poco più di vent’anni fa una stagione con 8 produzioni per l’infanzia (un paio rigorosamente disneyane) era considerata ricca. Oggi, per merito della tecnologia digitale che snellisce i costi e velocizza i tempi, per arrivare a tale cifra bastano due mesi. Una simile inflazione porta un impoverimento di idee e una serie di somiglianze, talvolta travestite da omaggi, talaltra no.
Per esempio, questa (dis)avventura del cagnolino viziato Tappo (Trouble in originale), cresciuto in una lussuosa villa e ritrovatosi per strada il giorno della morte della sua anziana affettuosa padrona (salvo poi essere braccato – per interposto pet detective vanesio – dagli avidi eredi, che dal testamento hanno appreso che sono obbligati a prendersi cura del quadrupede), si fregia di evocare West Side Story, Matrix e Ace Ventura, ma nei fatti pencola pericolosamente verso Lilli e il vagabondo, Rex – Un cucciolo a palazzo e Nut Job (e l’aspirante cantante che consegna le pizze si chiama Zoe Bell: strizzata d’occhio all’attrice tarantiniana?).
Per tacer della constatazione che, al di là di una discreta qualità tecnica, alcuni caratteri (vedi gli scoiattoli o l’antipatica Claire) lasciano esteticamente a desiderare rispetto ad altri. Insomma, sarebbe opportuno distribuire meno cartoni…