id., GB, 2015 – di Sarah Gavron con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Anne-Marie Duff, Brendan Gleeson, Ben Whishaw, Meryl Streep, Romola Garai, Finbar Lynch
Chiariamolo subito: se siete in cerca dell’ennesima performance memorabile di Meryl Streep, sappiate che la presenza della grande attrice americana è limitata a una manciata di minuti, peraltro recitati con il pilota automatico (lei se lo può permettere). Certo, la sua Emmeline Pankhurst, leader del movimento inglese che un secolo fa avrebbe, con tenacia e fatica, portato le donne – trascurate, sfruttate, sottopagate – al voto è il cuore del film, una guida evocata di continuo, un’eroina lucida e scaltra; però, per quel che concerne la narrazione, è un personaggio che brilla per fama e carisma naturale, non per particolare incisività nell’economia della trama. A ogni modo, la regista Gavron e la sceneggiatrice Abi Morgan, ponendo al centro del plot delle figure inventate (come la lavandaia interpretata da Mulligan, dapprima disinteressata alle lotte femministe e poi in prima linea malgrado la netta disapprovazione del marito Whishaw, ruolo-sintesi della condizione delle signore all’epoca) o ispirati a varie attiviste davvero esistite (vedi la farmacista che ha il volto di Bonham Carter), realizza un piccolo affresco storico sostanzialmente diligente eppur necessario, in tempi di rivendicazioni negate. A ricordare, insomma, che il progresso, soprattutto se riguarda diritti inalienabili, può essere rallentato, non arrestato. Interessanti le prove di Gleeson e Lynch, l’uno sbirro rispettoso del “nemico”, l’altro consorte sostenitore. Sebbene la parte più importante e intrisa di spirito di sacrificio spetti a Natalie Press.