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Recensione: Submergence

Ancora un progetto internazionale per Wenders, autore per molti smarrito. Ma Submergence, per ambizioso che sia, si mostra tutt’altro che banale.

id.,USA/Germania/Francia/Spagna, 2017  di Wim Wenders con Alicia Vikander, James McAvoy, Alexander Siddig, Reda Kateb, Celyn Jones, Jean-Pierre Lorit, Clémentine Baert, Loïc Corbery

Questa ulteriore avventura pseudo-americana di Wenders si potrebbe velocemente bollare come un classico passo falso d(ell)’autore. È così?

L’incontro casuale in Francia tra la matematica esperta di biologia marina Dani (la svedese Vikander) e la spia in incognito James (lo scozzese McAvoy) sarebbe l’inizio di una normale storia romantica, se non fosse per la pericolosa missione che attende il secondo, subito dopo catturato e imprigionato in Africa a insaputa di lei (spostatasi nel Mar Artico), che ignora il suo vero mestiere e attende, delusa, che si rifaccia vivo. Una situazione già complessa i cui prodromi – ricostruiti un po’ alla volta – innescano una narrazione in parallelo, con i protagonisti impegnati in un approfondimento, scientifico per Dani, antropologico (e forzato) per James.

Il concetto di immersione è richiamato, oltre che dal titolo (che intrinsecamente ricorda pure la parola “emergenza”, ovviamente mondiale), dalla prima sequenza, che vede la giovane ricercatrice simulare (all’asciutto) un’esplorazione subacquea, nonché dalla prigionia sotterranea dell’altro. Per risolvere i problemi – naturali o bellici che siano – del pianeta è dunque necessario osservare, studiare, ascoltare. Addentrarsi. Il regista, meno incisivo di una volta ma di sicuro non a corto di argomenti, lancia parecchie esche, perfino troppe (restano dubbi anche sulla sorte dell’agente sequestrato), propone confronti (con il medico jihadista Alexander Siddig, per esempio), per dirci che, forse, amor omnia vincit. Poco, dunque? Non è detto…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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