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Recensione: Sir – Cenerentola a Mumbai

Favola moderna, lucidamente immersa nella società indiana, Sir – Cenerentola a Mumbai vive di soppesati dettagli e della bravura dei protagonisti.

Sir, India/Francia 2018  di Rohena Gera con Tillotama Shome, Vivek Gomber, Geetanjali Kulkarni, Ahmareen Anjum, Rahul Vohra, Divya Seth Shah, Chandrachoor Rai, Dilnaz Irani

Rohena Gera, esperienze nel documentario e da sceneggiatrice, esordisce alla regia con quella che – complice il titolo italiano – sembra una fiaba (e nella sua progressione, dopotutto, lo è) ma è prevalentemente un film romantico calato nella società indiana, con i suoi retaggi secolari, le tradizioni, gli ostacoli. È la storia di Ratna (Tillotama Shome, bellezza sommessa, mix di umiltà e determinazione), giovanissima vedova proveniente da un villaggio povero che fa la domestica a Mumbai (soprattutto per pagare gli studi della spensierata sorella minore perché si emancipi e non si rifugi nel solito matrimonio di comodo); in più, la ragazza di provincia, abile cucitrice, sogna di diventare stilista e si propone come praticante nella bottega di un anziano e scorretto sarto.

Ashwin (il più che idoneo Vivek Gomber) è il ricco architetto per il quale lavora, un giovanotto dall’aria triste e insoddisfatta le cui nozze sono andate a monte e che, un dialogo alla volta, si accorge delle tante affinità che intercorrono tra lui e l’appartata impiegata. Tuttavia, entrambi sono coscienti dell’enorme muro costituito dalla differenza di casta.

Le figure di contorno, un po’ piatte rispetto ai protagonisti, servono comunque a sottolineare l’insormontabilità delle convenzioni. I dubbi e le visioni dall’alto contribuiscono alla progressione degli eventi. Pare un percorso facilmente tracciabile, però il tutto è esaltato da silenzi, sguardi, gesti (per esempio, la telefonata ricevuta durante la cerimonia). Minuzie che si notano.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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