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Recensione: Regression

Regression id., Spagna/Canada, 2015  di Alejandro Amenábar con Ethan Hawke, Emma Watson, David Thewlis, David Dencik, Lothaire Bluteau, Devon Bostick, Dale Dickey, Aaron Ashmore

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Pensavamo che Amenábar, autore, prima che dell’acclamato The Others, di piccoli thriller introspettivi e seminali (Tesis, Apri gli occhi) e in seguito responsabile del vibrante Mare dentro e dell’ambizioso Agora, non sarebbe mai riuscito, con la sua voglia di rimettersi in discussione, a deluderci. Purtroppo nel caso di questo “horror sociale” incredibilmente tratto da una storia vera, è capitato, con l’aggravante che il protagonista Hawke negli ultimi anni ha saputo riciclarsi con intelligenza all’interno del genere che dà (o almeno dovrebbe dare ) i brividi, con titoli quali Daybreakers – L’ultimo vampiro, Sinister, La notte del giudizio e, volendo, Predestination. Se rimarchiamo che nell’operazione è stata coinvolta anche Emma Watson, per talento non più associabile soltanto all’Hermione che l’ha resa celebre e perciò in rapida ascesa, il tonfo diventa ancor più sonoro. La vicenda, ambientata nel 1990 in una cieca comunità provinciale, ruota attorno a un uomo (Dencik) che si autoaccusa di aver molestato la figlia mhttps://www.youtube.com/watch?v=socH1TZjVhca non ricorda nulla e che per tale motivo viene sottoposto da un baldanzoso psicologo (lo sprecato Thewlis) a delle sedute di ipnosi che lo aiutino a ricostruire i fatti. Il metodo è applicato poi ad alcuni parenti stretti ed emergono delle possibili implicazioni sataniste; finanche il partecipe detective resta influenzato da una simile atmosfera malata (sulla fotografia di Daniel Aranyó almeno non si può eccepire). Uno sviluppo della narrazione inadeguato conduce agli spiegoni finali, che lasciano freddi.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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