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Recensione: Parlami di te

Una situazione drammatica virata in commedia: Parlami di te regge, grazie soprattutto all’indiscussa bravura di Fabrice Luchini. Tratto da una storia vera.

Un homme pressé, Francia, 2018  di Hervé Mimran con Fabrice Luchini, Leïla Bekhti, Rebecca Marder, Igor Gotesman, Gus, Yves Jacques, Micha Lescot, Evelyne Didi

Alain (Fabrice Luchini, fra i pochi in grado di riproporre magnificamente e con sfumature sempre diverse lo stesso, scontroso personaggio) è un businessman iperattivo e poco attento alle esigenze della figlia (Rebecca Marder), diviso tra ufficio (sta per presentare un importante e innovativo progetto d’automobile) e università, dove tra l’altro è stato invitato a entrare nella commissione che esaminerà le prove d’eloquenza.

È, per l’appunto, uno a cui le parole non mancano, perciò quando è colpito da un ictus e ricoverato provvidenzialmente in tempo – grazie alla prontezza del suo autista (Gus) – e si risveglia con problemi  di memoria e, soprattutto, di linguaggio, non accetta la situazione. Gli va incontro la paziente ortofonista Jeanne (Leïla Bekhti), che dietro un bel sorriso cela parecchia malinconia (non ha mai conosciuto la sua vera famiglia). Ovviamente si avviano verso un percorso comune di crescita (più lungo e arduo per l’uomo, come si può immaginare).

Il regista e sceneggiatore Hervé Mimran, ispirandosi al libro autobiografico del capitano d’azienda Christian Streiff (il quale fa pure una comparsata), stempera il dramma con le frasi farfugliate del protagonista (rielaborate discretamente dal doppiaggio), che spesso pensa di esprimersi correttamente (vedi la riuscita scena all’ufficio di collocamento). Un espediente buffo già adottato da un’altra – di sicuro modesta – commedia francese, L’antidoto, che qui pare fondersi con elementi del più noto A proposito di Henry. Piacevole, malgrado il titolo italiano…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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