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Recensione: New York Academy

High Strung, USA/Romania, 2016  di Michael Damian con Keenan Kampa, Nicholas Galitzine, Sonoya Mizuno, Richard Southgate, Marcus Emanuel Mitchell, Jane Seymour, Paul Freeman, Anabel Kutay

new_york_academy_1Di film sulla danza in questi ultimi anni – irreali, retorici, buonisti – se ne vedono perfino troppi, da Step Up a Street Dance, tanto per limitarsi alle saghe di successo. Si somigliano tutti: ci sono lui e lei, i sodali che con loro formano un’eterogenea crew, l’estrazione povera, un prestigioso concorso, delle avversioni esterne e interne. Pure la via della contaminazione tra generi musicali eleganti e pop sfrenato è già stata battuta. Allora cosa potrà mai offrire questo High Strung (l’originale si potrebbe tradurre con “nervoso” o “sovreccitato”, come le esecuzioni al violino del protagonista Johnnie, alias Nicholas Galitzine, tenebroso artista di strada britannico tanto solitario quanto desideroso di integrarsi nel sistema statunitense)? In effetti, c’è per l’appunto un côté melodico non disprezzabile, con un classicismo moderno che cozza apposta con l’hip hop e la danza classica, rispettivamente rappresentati da Ruby (Keenan Kampa), biondina avviata a coronare il suo sogno di ballare da professionista, e da Hayward (Marcus Emanuel Mitchell), il quale con il suo gruppetto di amici organizza spettacolari coreografie (anche in versione flash mob) in attesa del grande salto. Lo strano – ma, ripetiamo, non completamente inedito – mélange dà luogo a dei numeri che, se non proprio originali, sono perlomeno ben collocati (si sviluppano quasi a sorpresa). Nel ruolo della severa Madame Markova troviamo la seria attrice rumena Maia Morgenstern (La settima stanza, La passione di Cristo). E c’è un omaggio criptato a The Company

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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