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Recensione: Mother’s Day

id., USA, 2016  di Garry Marshall con Jennifer Aniston, Julia Roberts, Kate Hudson, Jason Sudeikis, Britt Robertson, Timothy Olyphant, Hector Elizondo, Margo Martindale

mother's_day_1I cast sfavillanti – come quelli a cui ci ha abituato GarryPretty Woman Marshall, ultimamente cristallizzatosi su ambientazioni “festose” (Appuntamento con l’amore, che si svolge a San Valentino, e Capodanno a New York) – non garantiscono necessariamente il risultato. Quest’ennesima commedia corale (Altman è lontano) partirebbe anche bene, e per due terzi, dopotutto, scorre; il problema risiede principalmente in epiloghi frettolosi e melensi, che vanificano gli sforzi degli attori (qui la colpa è della sceneggiatura). Una madre (Jennifer Aniston, che resta la più simpatica) in via di separazione deve competere con la nuova, giovane compagna (Shay Mitchell) del marito (Timothy Olyphant). La sua amica (Kate Hudson) non ha mai comunicato ai genitori girovaghi (Margo Martindale e Robert Pine) di essersi sposata con un indiano (Aasif Mandvi); del resto, nemmeno la sorella dirimpettaia (Sarah Chalke) ha detto loro di avere una moglie (Cameron Esposito). Peraltro, l’indaffarata Britt Robertson, che soffre per essere stata abbandonata in fasce (dalla venditrice televisiva Julia Roberts, alla sua quarta collaborazione con il regista e al suo primo ruolo di nonna!) non vuol saperne delle nozze con l’aspirante comico britannico Jack Whitehall (che le ha già dato una bambina), mentre il vedovo Jason Sudeikis prova a occuparsi da solo delle sue figlie. Le partecipazioni defilate di Jon Lovitz e Jennifer Garner e il solito saggio di Hector Elizondo poco aggiungono a una pellicola ulteriormente sciupata da una tolleranza posticcia.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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