Un horror originale e al contempo discendente da grandi titoli fuori dagli schemi. Midsommar – Il villaggio dei dannati conferma anche un “pericoloso” talento.
Midsommar, USA, 2019 – di Ari Aster con Florence Pugh, Jack Reynor, William Jackson Harper, Will Poulter, Vilhelm Blomgren, Ellora Torchia, Archie Madekwe, Isabelle Grill
Dani (la bella e brava Pugh di Lady Macbeth) attraversa un periodo terribile. Il suo boyfriend Christian (Reynor, altro volto interessante dell’ultima generazione, vedi Sing Street), incapace di vera empatia, per aiutarla a riprendersi le porge un inerte invito a unirsi a lui e ai variamente superficiali amici Josh (Harper), Mark (Poulter) e Pelle (Blomgren) nella terra d’origine di quest’ultimo, una Svezia (riprodotta per discrezione in Ungheria) provinciale e selvaggia intrisa di riti e tradizioni ancestrali. In effetti, si tratta di una vacanza organizzata per approfondire studi antropologici. Il gruppo di ragazzi non può certo immaginare cosa li aspetta.
Un incubo grottesco, esaltato dalla persistente, ossessiva luce del giorno, che ha forti legami con il da noi sconosciuto classico britannico The Wicker Man (malamente rifatto da LaBute ne Il prescelto, con Cage), ma anche, per atmosfere progressivamente morbose e durata consistente, con il recente La cura dal benessere di Verbinski. E con lo spietato Dogville o The Witch. Poi, chiaramente, si definisce sempre di più lo stile del giovane Aster, che già colpì con l’esordio (Hereditary – Le radici del male).
Pure stavolta lo spettatore è chiamato, con cenni minimi, a prendere delle (inorridite) distanze da ciò che avviene sullo schermo, in questo caso i dettami di un culto cieco, retrogrado, annichilente e doloroso che potrebbe ricordare le radici religiose del terrorismo. Senza dimenticare le meschinità dei “civili” protagonisti, resi da sfumati tratteggi psicologici.