Ultimo capitolo della saga di Dashner, Maze Runner – La rivelazione sa intrattenere. Però le buone potenzialità dell’avvio sono ormai dissipate.
Maze Runner: The Death Cure, USA, 2018 – di Wes Ball con Dylan O’Brien, Kaya Scodelario, Thomas Brodie-Sangster, Ki Hong Lee, Giancarlo Esposito, Aidan Gillen, Patricia Clarkson, Walton Goggins
Si conclude (per fortuna in un’unica “soluzione”, malgrado le intenzioni di confezionare un modaiolo doppio finale) la trilogia tratta dalla serie distopica scritta da James Dashner.
Il primo misterioso capitolo, ambientato nel labirinto, resta il più suggestivo; già nell’intermedio (con i ragazzi smemorati allontanatisi avventurosamente dal bizzarro luogo di reclusione che capiscono di essere cavie da laboratorio, immuni a un’epidemia mondiale), è diventato chiaro che ci si stava avviando verso territori narrativi più convenzionali. Non che il livello non sia dignitoso, ma adesso alle spontanee somiglianze con le saghe di Hunger Games e Divergent (peraltro rimasta clamorosamente incompiuta) tocca aggiungere quella, meno lusinghiera, con Resident Evil.
L’intraprendente Thomas (Dylan O’Brien, vittima di un grave incidente a inizio riprese che ha fatto slittare l’intera produzione), accompagnato da Newt (Thomas Brodie-Sangster), Frypan (Dexter Darden), Brenda (Rosa Salazar) e pochi altri, intende liberare l’amico Minho (Ki Hong Lee) dalle grinfie della WCKD, con la quale la “traditrice” Teresa (Kaya Scodelario) ha ricominciato a cooperare.
Al di là di un fondamentale, permeante dilemma morale, il film non si discosta da una certa convenzionalità, sancendo l’avvenuto depotenziamento delle belle premesse. Peccato, soprattutto per il talento visivo mostrato dall’ex-tecnico Ball. Torna un “rigenerato” Will Poulter, mentre al cast adulto (già formato da Esposito, Pepper, Clarkson e Gillen) si aggiunge uno sfigurato Goggins.