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Malati di sesso: la recensione di Verve

Nonostante i punti di riferimento che si sceglie, Malati di sesso si rivela una delle tante commedie scentrate italiane. Dispiace soprattutto per Apolloni.

Italia, 2018  di Claudio Cicconetti con Francesco Apolloni, Gaia Bermani Amaral, Fabio Troiano, Elettra Capuano, Augusto Zucchi, Giulia Bertini, Cristina Moglia, Stefano Ambrogi

Il simpatico attore e regista (dei carini ma dimenticabili Fate come noi e La verità, vi prego, sull’amore) Francesco Apolloni è il tipico esempio di risorsa sprecata del nostro cinema. Gestisce meglio di colleghi più noti i tempi comici, ma – soprattutto ultimamente – si getta via in prodotti di scarso rilievo. Spesso è lui a scriverne le sceneggiature, e Malati di sesso è uno dei casi (sebbene sia firmato pure da Manuela Jael Procaccia, il soggetto è suo).

Purtroppo ne esce una commedia scombinata, prevedibile, non certo pepata come vorrebbe lasciar credere (non basta richiamare Nymphomaniac in una scena e sul manifesto) e nemmeno adeguatamente sentimentale, malgrado gli (insolenti) agganci a Harry, ti presento Sally… Manca il coraggio di andare fino in fondo, e incentrare la storia su un fallimentare autore televisivo erotomane e su una mental trainer ninfomane (Bermani Amaral, fuori fase) che frequentano lo stesso psichiatra esaurito (Zucchi) – per inciso: le figure-guida nel film son tutte così – e che, su suo suggerimento, decidono di unire le forze per guarire ritirandosi in montagna in un centro specializzato è un espediente insufficiente.

Non aiutano in Malati di sesso i personaggi di contorno (vedi la “coppia accidentale” d’amici formata da Troiano e Capuano), troppo blandi, né la regia fiacca e caracollante dell’esordiente Cicconetti. Finché non ci si renderà conto che si può suscitare il riso non ricorrendo per forza a richieste insistite di denaro o visite alla prostata, difficile sperare che operazioni del genere si evolvano.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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