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L’uomo sul treno, la recensione di Verve

Un thriller che pensa ai classici per riadattarli all’azione moderna. Con L’uomo sul treno non ci si annoia, purché non ci si soffermi sulla verosimiglianza.

The Commuter, USA/GB, 2018  di Jaume Collet-Serra con Liam Neeson, Vera Farmiga, Patrick Wilson, Elizabeth McGovern, Jonathan Banks, Sam Neill, Roland Møller, Florence Pugh

Dopo le precedenti fruttuose collaborazioni con l’irriducibile Neeson (una seconda carriera all’insegna dell’action, quella che sta vivendo), ovvero il dignitoso Unknown – Senza identità, il superiore Non-Stop e l’incalzante Run All Night – Una notte per sopravvivere, il regista catalano Collet-Serra, grossolanamente memore della lezione hitchcockiana, sul piano drammaturgico – benché il copione non sia suo – si serve del proverbiale “uomo qualunque” (o giù di lì) finito in grossi guai per alimentare la tensione, ovviamente legata al processo di identificazione della platea.

Protagonista il pendolare (questo significa il titolo originale) Michael, assicuratore con passato di poliziotto che, appena licenziato per usuali imperscrutabili riorganizzazioni aziendali e di ritorno sul solito treno (comprensibilmente in preda all’amarezza), viene avvicinato da una misteriosa psicologa (Farmiga) che, con poche chiacchiere, capta la sua attenzione proponendogli un “gioco” (dal ricco premio): individuare in uno dei vagoni una persona “fuori posto”. Tentato ma anche insospettito dalla faccenda, il neo-disoccupato tenta di vederci più chiaro, comprendendo immediatamente che c’è poco da scherzare.

Impreziosito da attori capaci (McGovern, Wilson, Neill, Pugh…), il thriller scorrerebbe su binari – immagine inevitabile… – piuttosto comuni, se non fosse per il collaudato professionismo del regista, che tra un’esagerazione e un arrotondamento (qui più che altrove l’incredulità va sospesa), tiene la direzione. E l’incipit è già un mini-film.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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