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La vedova Winchester: la recensione di Verve

Un film di spettri con Helen Mirren? Certo che sì! Però gli autori de La vedova Winchester qualche sforzo creativo in più potevano farlo.

Winchester, USA, 2018  di Peter Spierig, Michael Spierig con Helen Mirren, Jason Clarke, Sarah Snook, Finn Scicluna-O’Prey, Angus Sampson, Eamon Farren, Tyler Coppin, Laura Brent

Le tribolazioni di Sarah Winchester, nuora e unica erede di Oliver, produttore di armi ottocentesco, sono degne di un romanzo gotico. Certa di rendere giustizia ai tantissimi uccisi per causa dell’attività di famiglia, usò la sua spropositata ricchezza per costruire una labirintica magione in cui le anime in pena potessero trovare requie, una per stanza e secondo rituali molto precisi.

La ghost story che ne deriva (ambientata a San Jose nel 1906) porta la firma dei gemelli tedeschi Spierig, specializzati in atmosfere sinistre (Undead, Daybreakers, Predestination – dal quale richiamano l’australiana Snook – e l’ultimo Saw), però l’innesto non entusiasma.

Ci si rende presto conto che la vicenda, così trattata, ha il respiro corto (soprattutto nella sua lambiccata evoluzione), che il medico traumatizzato e laudano-dipendente (un volenteroso Clarke) convocato per testare lo stato psichico della signora (Mirren, che resta l’unico vero motivo per vedere un film, qualsiasi film) non è un personaggio particolarmente convincente (e non lo è nemmeno lo spirito rancoroso di Eamon Farren) e che la reale protagonista diventa inesorabilmente l’enorme casa (quella autentica è ancor oggi meta turistica) in perpetua costruzione, con le sue spirali e i suoi vicoli ciechi (complimenti allo scenografo Matthew Putland, nonostante qualche proporzione fasulla).

A farne le spese sono soprattutto i piattissimi comprimari, quasi equiparati all’arredamento, delle cui (spesso tristi) sorti nessuno si interessa; fra loro il Sampson della saga Insidious.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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