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Recensione: La profezia dell’armadillo

Tratto dal fumetto di Zerocalcare, La profezia dell’armadillo non è spiacevole. Ma poteva essere meglio strutturato. Bravo il protagonista Liberati.

Italia, 2018  di Emanuele Scaringi con Simone Liberati, Pietro Castellitto, Valerio Aprea, Laura Morante, Samuele Biscossi, Diana Del Bufalo, Claudia Pandolfi, Gianluca Gobbi 

Progetto a lungo rinviato, quest’adattamento dell’omonima graphic novel di Zerocalcare. In un primo tempo doveva dirigerlo Valerio Mastandrea, rimasto comunque fra gli sceneggiatori (gli altri sono Oscar Glioti, il misterioso Johnny Palomba e lo stesso autore del fumetto). Poi l’attore romano, forse desideroso di orizzonti diversi, ha abbandonato il progetto (debutterà comunque alla regia con l’imminente Ride) e gli è subentrato un altro esordiente, Emanuele Scaringi, attitudine alla commedia pensosa del primo Marco Ponti sfortunatamente insufficiente a sorreggere il film, che pure ha momenti spassosi (il confronto con l’addetta alla pulizia stradale Kasia Smutniak, per esempio).

Zero (Liberati, promessa confermata di Cuori puri), vignettista sottopagato che disegna pure manifesti e copertine, s’arrangia fra vari lavoretti, da sondaggista aeroportuale (uno dei passeggeri a cui sottopone il suo questionario è il per lui sconosciuto e autoironico Adriano Panatta) a insegnante privato (idealista). Il suo miglior amico Secco (Castellitto jr.) è un perdigiorno, la madre (Morante) un’analfabeta informatica. Quando apprende della morte della sua amica francese di vecchia data Camille (da ragazza Sofia Staderini), il già confuso ventisettenne si ritrova a elaborare un lutto imprevisto; i suoi tormenti sono incarnati da un armadillo filosofeggiante (Aprea in un costume ridicolo).

Dotata di segmenti animati nonché delle partecipazioni di Gianluca Gobbi e Teco Celio (e non solo), la malinconica pellicola non lascia però un gran segno.

 

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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