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Recensione: La dea Fortuna

Un film così a Özpetek non riusciva probabilmente dai tempi di Saturno contro. L’allegorico La dea Fortuna può vantare una buona direzione d’attori.

Italia, 2019  di Ferzan Özpetek con Stefano Accorsi, Edoardo Leo, Jasmine Trinca, Sara Ciocca, Edoardo Brandi, Serra Yilmaz, Filippo Nigro, Pia Lanciotti

Ferzan Özpetek, pur non discostandosi dai canoni del suo cinema e parlando del proprio vissuto, sigla una delle sue migliori opere, paragonabile, per intensità e qualità, a Saturno contro.

All’interno di una delle solite eterogenee comunità di amici che amano scherzare e desinare insieme, il letterato/spiantato Arturo (Accorsi, calibrato e in sintonia con l’autore) e l’aitante idraulico Alessandro (il valido Leo, opportunamente in cerca di ruoli meno stereotipati) sono partner stanchi, evidentemente prossimi alla separazione dopo quindici anni d’amore e scappatelle. Tra capo e collo l’adorata amica Annamaria (Trinca, a suo modo carismatica), in procinto di affrontare una complicata trafila ospedaliera, affida alla coppia in crisi i figlioletti Martina e Sandro (Ciocca e Brandi). Inizia una convivenza imprevista, che forse, nel risvegliare l’istinto protettivo dei due uomini (comunque molto diversi tra loro), ha il potere di sanare qualche cicatrice.

È una fiaba (in fondo, nemmeno questa è una novità per il regista di Magnifica presenza) non irrisolta come appare (occhio ai dettagli), con tanto di cattivissima strega (la scrittrice e sceneggiatrice Barbara Alberti, all’azzeccato esordio in veste d’attrice), con uno splendido piano-sequenza d’apertura che prelude all’incubo e spiega molti risvolti cupi. E l’intera trama può essere letta in chiave politica (assai attuale)! Tra le eccellenze, la scena del litigio parallelo (adulti in una stanza, bambini nell’altra) e Barbara Chichiarelli, l’infermiera che ti sembra di conoscere.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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