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Recensione: It – Capitolo due

Seguito annunciato, It – Capitolo due ci mostra i ragazzi perseguitati dal perfido e simbolico clown ormai cresciuti, ma ancora irrisolti. Fluido, ma calante.

It Chapter Two, Canada/USA, 2019  di Andy Muschietti con James McAvoy, Jessica Chastain, Isaiah Mustafa, Bill Hader, Jay Ryan, Ben Ransone, Bill Skarsgård, Andy Bean

Come promesso dal (successo del) primo film, ecco il sequel. La scelta di dividere il voluminoso romanzo di Stephen King (nel ruolo d’un inquietante negoziante), già trasposto per la tv nel 1990, sul piano commerciale si rivela vincente, oltre ad aver permesso alla pellicola del 2017 di dedicarsi solo alle vicende giovanili dei protagonisti, traslate al 1989 (anziché agli originali 50s) sia per assecondare la nostalgica moda esaltata dalla serie Stranger Things (e qui non mancano i “ritorni al passato”), sia per attualizzare questa continuazione (che dunque si svolge nel 2016, dato che il pagliaccio assassino – ancora Skarsgård – al centro del plot torna ogni 27 anni).

I ragazzi di Derry sono cresciuti, e a parte Mike (Mustafa), rimastovi a lavorare in polizia, sono tutti altrove, praticamente immemori delle loro disavventure giovanili. Così, su allarmata convocazione dell’amico agente che riconosce in alcuni efferati delitti (una delle vittime è Xavier Dolan!) il modus operandi dell’infernale clown, il tormentato Bill e la tosta Beverly (gli ormai affiatati McAvoy e Chastain), il pauroso Eddie (Ransone), il dimagrito Ben (Ryan) e il dritto Richie (Hader) si riuniscono, non senza perplessità. È assente Stanley (Bean), e per riaffrontare l’angosciante mostro bisogna attrezzarsi, persino di ricordi indesiderati…

Muschietti (anche lui fa una comparsata, al pari di un autoreferenziale Peter Bogdanovich) conferma la sua non indifferente capacità di messa in scena; le quasi 3 ore di proiezione scorrono, eppure il mordente scema…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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