L’ultimo film di Wajda riproduce gli anni conclusivi del pittore polacco controcorrente Strzemiński. Il ritratto negato lo erge a esempio di resistenza.
Powidoki, Polonia, 2016 – di Andrzej Wajda con Bogusław Linda, Bronisława Zamachowska, Zofia Wichłacz, Mariusz Bonaszewski, Krzysztof Pieczyński, Szymon Bobrowski, Aleksander Fabisiak, Paulina Gałązka
Il compianto Andrzej Wajda (1926-2016) nella sua onorata carriera ha raccontato in vari modi il suo Paese, la Polonia, additando la repressione dei regimi comunisti (il che ha portato alcuni ministri – anche di casa nostra – a strumentalizzare ottusamente il suo lavoro, esaltandolo in qualità di “loro” cantore; come se le dittature non fossero una piaga di un solo colore). Il suo denso cine-testamento è il biopic (dal 1948 al 1952) di un importante e osteggiato pittore astratto, Władysław Strzemiński (ruolo affrontato con cipiglio da Bogusław Linda).
Un uomo gravemente menomato (gli mancavano l’avambraccio sinistro e la gamba destra), adorato dagli allievi di Łódź che seguivano avidamente le sue lezioni (una riguarda la traccia che l’oggetto lascia nello sguardo, da cui il titolo internazionale – tradotto dall’originale – Afterimage), orgogliosamente incapace di piegarsi alle direttive di partito, che, in base al realismo socialista, imponevano raffigurazioni fedeli, meglio ancora enfatiche.
Convinto che la politica vada separata dall’arte (che, se arginata, si spinge chiaramente nella direzione opposta), Strzemiński, (ri)presentatoci nella scena dove squarcia il drappo che gli arrossa la stanza, fu vittima di una lenta sottrazione della dignità, dagli spazi tolti (divieto di insegnare, smantellamento dell’apprezzata Sala Neoplastica) alla privazione dei buoni-pasto, sotto gli occhi della figlioletta (Bronisława Zamachowska) avuta dalla scultrice Katarzyna Kobro. Zofia Wichłacz è la giovane e bella Hania, discepola-simbolo.