Horror calibrato, portatore di “sane” atmosfere classiche, Hereditary – Le radici del male segna l’interessante debutto di Ari Aster. Nominativo da segnare?
Hereditary, USA, 2018 – di Ari Aster con Toni Collette, Gabriel Byrne, Alex Wolff, Milly Shapiro, Ann Dowd, Morgan Lund, Jake Brown, Mallory Bechtel
Aster esordisce nel lungometraggio (dopo vari corti) con un horror sapiente: il clima attinge alla migliore tradizione del genere e il neo-regista (che esibisce i requisiti per far parlare di sé in futuro) mostra grande dimestichezza nel creare disagio spettatoriale attraverso la decomposizione (quasi letterale) di una famiglia-tipo in cui, in superficie, ci si può identificare, ma che cela inquietudini ataviche (non è un termine scelto a caso).
Il film si apre con un necrologio che introduce i personaggi, poi una lenta carrellata si addentra in una delle tante miniature – sostanzialmente “autobiografiche” – costruite da Annie (una partecipe Collette, attrice assai trascurata), inquadrando il suo paziente marito Steve (il calzante Byrne) e il rampollo maggiore Peter (Wolff, fratello del più noto Nat), studente sulla via dello sbando. Successivamente entra in scena anche l’altra figlia, la sgraziata e fragile – occhio al nome/condanna – Charlie (Shapiro), autoconfinatasi nella protettiva casa sull’albero…
Delle figure così basta lasciarle fare, tuttavia l’autore (pure dello script) s’impegna a fornire una direzione al nugolo d’inquietudini accortamente illustrato. Perlopiù ci riesce, comunque punteggiando la trama con dettagli macabri inessenziali (non tutti, beninteso) e connessioni non sempre saldissime, orientandosi quindi verso motivazioni esoteriche progressivamente invadenti, fino a un epilogo tirato via, praticamente conforme alla media. Notevole Dowd nel ruolo dell’empatica Joan. La coppia di protagonisti produce.