Home / CULTURA / CINEMA / Recensione: Heidi

Recensione: Heidi

Heidi, protagonista dolce e vitale di un cartone animato che ha accompagnato l’infanzia di tante generazioni, sbarca al cinema in una trasposizione filmica fedele al personaggio.

Heidi   id., Germania/Svizzera, 2015  di Alain Gsponer con Anuk Steffen, Bruno Ganz, Quirin Agrippi, Isabelle Ottmann, Katharina Schüttler, Maxim Mehmet, Hannelore Hoger, Peter Lohmeyer

heidi_1Prima di essere la vivace protagonista di un cartoon (giapponese) di culto, Heidi era al centro di un romanzo ottocentesco della svizzera Johanna Spyri. Oggi la ritroviamo in questa trasposizione filmica (fra le tante esistenti, contando anche produzioni televisive più o meno note) che ha dalla sua l’irrinunciabile semplicità espositiva nonché una sostanziale fedeltà al testo di partenza. E un altro punto a favore del regista Alain Gsponer (del quale in Italia la scorsa stagione s’è visto il trascurabilissimo Un fantasma per amico) è la scelta della piccola debuttante Anuk Steffen, frizzante e irriducibile come richiede il ruolo. Nella finzione – molti lo sanno già – la bambina, orfana, viene condotta presso la baita del riottoso nonno, sulle Alpi. Il vecchio (ben reso da Bruno Ganz) all’inizio non vuol saperne di lei, poi inevitabilmente la accoglie e le si affeziona. Quanto alla bimba, sin da subito si adatta magnificamente alla natura che la circonda, legando pure con il pastorello Peter (Quirin Agrippi) e con le capre che accudisce. Tanto che, quando – in un passaggio affrettato del film – le tocca rientrare nella buona società di Francoforte (per motivi non proprio disinteressati), patisce il cambiamento, ma stringe sincera amicizia con una ragazza dolce e sfortunata, Clara (Isabelle Ottmann). Dosi di tenerezza oculate (con rigoroso controllo della melassa) e personaggi calligrafici quanto basta, sebbene la rigida istitutrice Rottenmeier sia stata piuttosto addolcita nell’aspetto (la interpreta Katharina Schüttler).

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*