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Recensione: Genitori quasi perfetti

Commedia sul rinnovato concetto di famiglia che (di)mostra i tabù da abbattere. In Genitori quasi perfetti, però, la brava Foglietta è un po’ sopra le righe.

Italia, 2019  di Laura Chiossone con Anna Foglietta, Lucia Mascino, Paolo Calabresi, Marina Rocco, Elena Radonicich, Francesco Turbanti, Paolo Mazzarelli, Marina Occhionero

Da una pièce di Gabriele Scotti intitolata Palloncini (la matrice teatrale è evidente nell’unità di luogo che costituisce il corpus del film, sceneggiato dall’autore del soggetto con Renata Ciaravino), ribattezzata evidentemente per richiamare altri successi cinematografici e televisivi (che pure c’entrano, nell’impostazione generale), discende quest’opera seconda di Laura Chiossone (che segue Tra cinque minuti in scena).

Tutto gravita attorno alla festa di compleanno del piccolo Filippo (Nicolò Costa), incipienti inclinazioni queer notate (e taciute) con preoccupazione dalla stressata madre single Simona (Foglietta, stavolta tendente all’overacting). Il party che sta organizzando, con tanto di giovane animatrice non meno crucciata dalla scoperta di una gravidanza (Occhionero), “ravvivato” dalla presenza di altre mamme e altri papà (la coppia intellettual-salutista formata da Mascino e Calabresi, la gay silenziosamente stufa degli stereotipi Radonicich, il giocherellone immaturo Turbanti, il serioso workaholic Mazzarelli, l’estetista oca – qui si può invece parlare di typecasting Rocco), si rivelerà un mezzo disastro, in una progressione – letteralmente da gutta cavat lapidem – di malumori e perdita di contegno. Non prima di aver dimostrato l’ipocrisia della borghesia odierna riguardo a temi come la ridefinizione del gender e le famiglie arcobaleno, assieme ai perpetui danni (perlopiù involontari) inflitti dalla genitorialità.

Il finale è sorridente (e musicale), il (volenteroso) percorso qua e là causticamente divertente.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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