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Flatliners – Linea mortale. La recensione di Verve

Rifacimento non necessario del quasi omonimo thriller semi-fantascientifico di 27 anni fa, Flatliners – Linea mortale delude. Benché ci siano dei pregi.

Flatliners, USA/Canada, 2017  di Niels Arden Oplev con Ellen Page, Diego Luna, Nina Dobrev, James Norton, Kiersey Clemons, Kiefer Sutherland, Anna Arden, Madison Brydges

In tempi di rivisitazioni, capita di assistere a operazioni completamente ingiustificate. Come questo remake mal gestito dallo svedese Arden Oplev (Uomini che odiano le donne, Dead Man Down – Il sapore della vendetta) su malfermo script di Ben Ripley, che si permette di attingere dal miglior lavoro del mestierante Joel Schumacher, quel Linea mortale (1990) che aveva l’intelligenza di sollevare interrogativi esistenziali per poi gettarsi nel paranormale, consapevole dei propri limiti. Di quel film resta la partecipazione sorniona di Kiefer Sutherland, ma lo spirito inevitabilmente è smarrito.

Soggetto simile, con pochi aggiornamenti: studentessa di medicina (Page, al di sotto delle sue capacità) coinvolge più per vuoto egoistico che per amor di scienza alcuni colleghi (il carismatico Luna, evidentemente “fuori corso”, il farfallone Norton, la compita Dobrev e la solo apparentemente dolce Clemons) in un pericoloso esperimento: sottoporsi a morte cerebrale per qualche minuto, in modo da esplorare l’eventuale aldilà. L’incosciente tentativo riesce ed entusiasma (quasi) tutti i “complici”, che vogliono provare in prima persona che effetto fa.

Imprevedibili i danni collaterali (personalizzati) a medio termine… Il finale riscatta appena l’insieme, e l’aumento delle “quote rosa” fra i protagonisti – in ogni caso ridefiniti (colpe comprese) rispetto all’originale – segna un punto a favore (illo tempore c’era solo la Roberts). Però non ci si spaventa, non c’è coerenza e l’interesse per le psicologie è scarso. Dunque, c’era bisogno?

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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