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Dickens – L’uomo che inventò il Natale, la recensione

Un altro Christmas Carol? Non proprio. Dickens – L’uomo che inventò il Natale è la simpatica messinscena della nascita di un classico.

The Man Who Invented Christmas, Irlanda/Canada, 2017  di Bharat Nalluri con Dan Stevens, Christopher Plummer, Jonathan Pryce, Morfydd Clark, Simon Callow, Miriam Margolyes, Anna Murphy, Ian McNeice

 - L’uomo che inventò il Natale

Il nuovo film del regista indiano Nalluri (relativamente sorprendente, se si pensa che nel suo curriculum c’è il fiacco, lontano Il corvo 3 – Salvation), oltre a essere una liberissima biografia, rientra nel non così scarno filone “scrittori interconnessi con i propri personaggi”, in cui rientrano opere diversissime quali Vero come la finzione, Ruby Sparks e Neruda.

Analogamente a quest’ultimo caso, ribadiamo, si parla di un artista realmente esistito, l’inglese di metà Ottocento Charles Dickens (al quale dà volto Dan Stevens, Bestia disneyana, vagamente somigliante al Ralph Fiennes che si calò nei medesimi panni vittoriani nel suo The Invisible Woman). Assistiamo alle tribolazioni dell’autore di Oliver Twist, celebrato addirittura oltreoceano, poi piombato in una crisi d’ispirazione derivante anche da tre insuccessi consecutivi.

Con l’apporto del paziente amico e agente Forster (Justin Edwards) e autoproducendosi (con una buona dose d’incoscienza), il nostro inizia a concepire il Canto di Natale guardandosi intorno, cogliendo facce, nomi e situazioni che animeranno la storia dell’avaro Scrooge (Plummer), e già sappiamo che l’esito sarà glorioso (conoscere la trama del classico aumenta la godibilità della visione).

Un cammino irto di ostacoli – dalle opprimenti difficoltà finanziarie alla ricomparsa del padre spendaccione Pryce – ma formativo. Un’opera (tratta dal libro omonimo di Les Standiford)  visivamente fantasiosa, allegra, mai banale, piena di sapidi caratteri (la moglie, la servetta, il critico, l’illustratore…).

 

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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