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Come ti ammazzo il bodyguard, la recensione di Verve

Un cast stellare per “Come ti ammazzo il bodyguard”.  7° in classifica al Box Office, il film di Patrick Hughes gioca a fare il verso al cult “Guardia del corpo”, anche se tra commedia e azione si rivela un’occasione mancata

The Hitman’s Bodyguard, USA/Cina/Olanda/Bulgaria, 2017  di Patrick Hughes con Ryan Reynolds, Samuel L. Jackson, Gary Oldman, Salma Hayek, Elodie Yung, Joaquim de Almeida, Kirsty Mitchell, Richard E. Grant

Assistendo a quest’esaltata commedia d’azione si capisce meglio cosa non abbia funzionato ne I mercenari 3, precedente lavoro di Patrick Hughes. Sembra proprio che il regista tenda a sprecare cast stellari, illudendoci con discrete partenze e procedendo per accumulo di situazioni alquanto annunciate.

Ancora una volta il clima goliardico e simpatico delle prime scene vira verso una certa ripetitività, all’interno della quale la violenza da iperbolica (e demistificabile) si fa ottusa, un espediente come un altro per tirare innanzi.

La trama s’impernia su una guardia del corpo qualificata (Reynolds) caduta in disgrazia per un incarico finito male. Il petulante gorilla in questione adduce i motivi del suo fallimento alla sua ex francese (Yung), peraltro una poliziotta, e si ritrova a dover scortare uno sboccato e recalcitrante assassino (Jackson) con cui si è scontrato più volte. Proprio costui possiede fondamentali informazioni per screditare e deporre un dittatore bielorusso (un Oldman che attinge al suo repertorio più vieto) processato a L’Aia; in teoria sa guardarsi le spalle da solo, ma è chiaro che i due personaggi sono concepiti per imparare progressivamente – tra un insulto e un inseguimento – a rispettarsi.

Il soggetto non sarebbe neanche brutto, ma non convincono la forzata specularità sentimentale dei protagonisti (pure il killer ha una storia difficile con la carcerata Hayek) e i caratteri stereotipati (de Almeida ne rappresenta uno). Forse l’idea più divertente è il manifesto, parodia di The Bodyguard

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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