Nato dalla sinergia Disney-Pixar, Coco (dal nome della bisnonna del protagonista) convince. Merito soprattutto di una regia professionale
id., USA, 2017 – di Lee Unkrich, Adrian Molina. Animazione
È già finito (ingiustamente) nel dimenticatoio Il libro della vita (2014), stilizzatissimo e per niente deprecabile cartoon di Jorge R. Gutiérrez incentrato sul tradizionale Día de Muertos messicano. Sicché questa godibile produzione animata dalla tematica simile della Pixar, il cui legame con la Disney si fa visivamente più esplicito (basterebbe il corposo e non entusiasmante cortometraggio abbinato a dimostrarlo, lo spin-off Frozen – Le avvenure di Olaf), non può professarsi interamente originale. Poco importa, tutto sommato: il risultato, pur lambendo un familismo accortamente ridefinito in corso di narrazione, permane suggestivo (vedi l’incipit con i centrini).
Storia dell’irrefrenabile Miguel, destinato a fare lo zapatero ma affatto interessato alle scarpe: vuol suonare la chitarra e intende seguire le orme del suo idolo, il cantante/attore defunto de la Cruz. I parenti dissentono per via della condotta disdicevole del trisnonno, che abbandonò il focolare proprio per seguire le sirene del successo musicale.
Però il ragazzino non si arrende: elude la “sorveglianza” per partecipare a un concorso, e nel trafugare lo strumento “sacro” che gli occorre si ritrova addirittura in un aldilà burocratizzato, dove incontra i suoi severi avi in versione scheletrita, conosce il tenace Héctor (a rischio di essere dimenticato sulla Terra) e, nemmeno a dirlo, matura.
Il regista Unkrich, artefice tra l’altro del capolavoro Toy Story 3 e qui opportunamente coadiuvato da Molina, dà vita (ehm) a un’opera coinvolgente, ed è ciò che conta.