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Recensione: Cinquanta sfumature di nero

Fifty Shades Darker, USA, 2017  di James Foley con Dakota Johnson, Jamie Dornan, Eric Johnson, Rita Ora, Luke Grimes, Marcia Gay Harden, Kim Basinger, Bella Heathcote

Al posto della defenestrata Sam Taylor-Johnson, sulla sedia da regista c’è James Foley, vale a dire  un solido mestierante (A distanza ravvicinata, L’ultimo appello… Chi se li ricorda?) finito nel dimenticatoio dopo l’insapore Perfect Stranger (2007). Purtroppo, al di là di un leggero guadagno in scorrevolezza, la “bollitura” è simile a quella del precedente Cinquanta sfumature di grigio (per apprezzare quelle di rosso, già pronte – lo dimostra il trailer sui titoli di coda –, bisognerà aspettare un anno esatto). Questo perché la trilogia della scrittrice (riconfermatasi produttrice) E.L. James nella sua trasposizione al cinema sbandiera trasgressione ma non è in grado di trasmettere alcun brivido caldo. D’altronde, pure sul piano narrativo la fase è di passaggio: la compressa Anastasia rincontra l’affascinante e vergognosamente ricco Christian e decide di dargli un’altra possibilità, a patto che rinunci a regole e trasgressioni, quali che siano i traumi che l’hanno condotto a prediligere il sesso sadomaso; ovviamente in un rapporto più sincero qualche eccezione si concede, ma le ex (di tutte le età) non perdonano. Quindi finti erotismi, svolte drammatiche che non arrivano, parenti fin troppo condiscendenti (la sorella del protagonista, Mia, ancora interpretata dalla cantante Ora, in testa), segreti di Pulcinella. Come Dornan mantiene il physique du rôle, così la Johnson soccombe a ogni comprimaria (e qui si trova dinanzi addirittura Kim Basinger, che, pur ritoccata, se la mangia in un’inquadratura). Rivalutiamo Zalman King.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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