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Recensione: Che fine ha fatto Bernadette?

Può darsi che non sia un’opera memorabile di Linklater. Ma Che fine ha fatto Bernadette?, oltre ad avvalersi della divina Blanchett, non si liquida in fretta.

Where’d You Go, Bernadette, USA, 2019  di Richard Linklater con Cate Blanchett, Emma Nelson, Billy Crudup, Kristen Wiig, Laurence Fishburne, Zoe Chao, Judy Greer, Troian Bellisario

Forse è vero, questo di Linklater è un film minore. Non ha il peso di Boyhood, né narra il dolore represso di Last Flag Flying o Bernie (per citare due titoli ignorati dai nostri distributori). Le ciarle del sottovalutato Tutti vogliono qualcosa ci sono, ma pur sembrando meno fatue, conferiscono un tono intellettualoide, che pare voler marcare le distanze con l’uditorio. La freddezza involontariamente eccessiva assomiglia a quella de Il pescatore di sogni (su un altro progetto impossibile), anch’esso di derivazione letteraria (qui la fonte è un romanzo di Maria Semple). Tuttavia non è da bocciare.

È superfluo ribadire che la sola presenza della superba Blanchett varrebbe la visione (in particolare per i confronti con la vicina “educatamente inopportuna” Wiig, ulteriore grande attrice, ancora poco valorizzata); è piuttosto questione di saper raccontare, sovente con ironia, il malessere acquiescente d’una brillante architetta delusa dalla professione, la cui creatività repressa la porta a isolarsi con malcelata superiorità, a permettere – cinicamente – un intervento botanico deleterio, a lasciare la scena al marito informatico (Crudup). Però la “miracolosa” Bernadette (il nome non è certo casuale) deve esprimersi, e il viaggio in Antartide anelato dall’adorata, risoluta eppur fragile figlia Bee (l’esordiente Emma Nelson) magari gliene darà occasione.

Vari camei (oltre al determinante Fishburne, Megan Mullally, Steve Zahn, James Urbaniak). La ricostruzione del passato attraverso un documentario (spezzato) è una bella idea.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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