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Recensione: Cetto c’è senzadubbiamente

Terzo capitolo delle grottesche gesta di La Qualunque. Cetto c’è senzadubbiamente strappa un ghigno qua e là, d’accordo, ma si rivela presto superfluo.

Italia, 2019  di Giulio Manfredonia con Antonio Albanese, Gianfelice Imparato, Caterina Shulha, Davide Giordano, Lorenza Indovina, Nicola Rignanese, Aurora Quattrocchi, Mario Cordova

Cetto La Qualunque è una maschera nata felicemente in tv. Ignorante, volgare, donnaiolo, assetato di potere e soldi, rappresenta in termini parossistici l’italiano spiccio ed egoista. Albanese ne ha fatto un cavallo di battaglia, trasbordandolo al cinema con decrescenti risultati in Qualunquemente (2011) e Tutto tutto niente niente (2012). Il simpatico attore, avvalendosi di nuovo dell’aiuto in sceneggiatura di Piero Guerrera e della regia di solito più ispirata di Manfredonia (Se fossi in te, Si può fare, La nostra terra), si cala ancora negli sgargianti panni dell’impresentabile politico meridionale, pluripregiudicato e ormai fuggito in Germania (dove, biondo come Trump, continua ad applicare la sua scorretta filosofia imprenditoriale).

Accorso al capezzale calabrese d’una zia morente (Quattrocchi), apprende di avere sangue blu nelle vene, e sobillato dal losco conte Venanzio (Imparato, che meriterebbe maggior fama) inizia un’assurda campagna per ripristinare la monarchia. Un’ideuzza magari azzeccata (resa più inquietante da un contemporaneo e avulso spot savoiardo) il cui respiro corto, però, non permette reali evoluzioni. Anzi, il debole copione è una sorta di lungo sketch ora sapido, ora meno.

Accanto alla moglie straniera Shulha, allo sgherro Rignanese, al sacrificabile (anche dallo script) figlio sindaco Giordano e all’ex diventata suora Indovina, vari sprecati caratteristi: Mario Patanè, Luigi Petrucci, Alfredo Pea, Marit Nissen più il rapper Gué Pequeno, poiché non manca il lato musical.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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