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Brian Goodman alla regia di Black Butterfly. La recensione

id., USA, 2017  di Brian Goodman con Antonio Banderas, Jonathan Rhys Meyers, Piper Perabo, Abel Ferrara, Vincent Riotta, Nathalie Rapti Gomez, Gioia Libardoni, Nicholas Aaron

Girata tra Lazio e Abruzzo, quest’opera seconda dell’attore Brian Goodman (pure in un cameo), che segue Boston Streets (2008, inedito nelle nostre sale), discende da un film per la tv francese di nove anni fa.

Nel caso in esame i protagonisti sono Banderas, il quale (quasi a creare un fil rouge con la sua carriera pubblicitaria) interpreta uno sceneggiatore – in crisi e mollato dalla moglie – che vive in un magnifico isolamento nei pressi di un laghetto, tentando di buttare giù un copione e tracannando un bicchiere dopo l’altro, e un nervoso Meyers, un vagabondo che lo salva da una rissa.

Lo scrittore per sdebitarsi invita lo sconosciuto a stare da lui; costui accetta, e a sua volta vuol guadagnarsi l’ospitalità eseguendo dei lavoretti nella baita (che peraltro è in vendita). Finché non si mette a insistere perché il letterato bloccato la smetta di bere e scriva una storia sulla loro vicenda; che sia questo forestiero il serial killer che da anni semina morte nella zona?

I possibili riferimenti sono tanti (da Psyco a Misery non deve morire), le inverosimiglianze nei risvolti della trama si rivelano ancor più numerose (vedi il personaggio della Perabo) e il comodo escamotage finale vorrebbe giustificare tutto. Però il primo livello di lettura permane trascurabile (c’erano diverse eventuali evoluzioni ben più avvincenti). Molto meglio il secondo, nel quale assistiamo a una “contesa creativa” metacinematografica tra i due caratteri che sembra indirizzare le sorti del plot. Strana particina per il regista Abel Ferrara.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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