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Recensione: Ant-Man and the Wasp

Un sequel scoppiettante quanto e più dell’originale. Ant-Man and the Wasp regge, anche grazie a Paul Rudd. Douglas e Pfeiffer ringiovaniti in CG.

id., USA, 2018  di Peyton Reed con Paul Rudd, Evangeline Lilly, Michael Douglas, Michael Peña, Hannah John-Kamen, Laurence Fishburne, Michelle Pfeiffer, Walton Goggins  

La missione del riconfermato Reed? Mantenere l’ironia e l’azione condita da mirabolanti trucchi (ringiovanimento digitale compreso) di Ant-Man (2015). Il regista ci riesce, rilanciando gli elementi vincenti del primo film e facendo definitivamente “suo” il personaggio Marvel… condividendolo naturalmente con lo spiritoso Rudd, che non per nulla pure stavolta contribuisce allo script.

Egli è di nuovo lo scombiccherato Scott Lang, padre affettuoso agli arresti domiciliari dopo l’impresa a fianco di “Cap” (in Captain America – Civil War), riportato (in barba al sorvegliante Woo/Randall Park) nella (instabile) tuta (che infatti a un certo  punto lo muta in Giant-Man) dal brillante scienziato Hank Pym (Douglas) e da sua figlia Hope (Lilly), ormai collaudata eroina nei micro-panni di Wasp, nel concreto tentativo (visti gli eventi precedenti) di ritrovare la moglie/madre Janet (Pfeiffer) dispersa fra gli atomi da 30 anni (vabbè…).

Ma ci sono degli (altri) ostacoli: un esoso fornitore clandestino di tecnologia (Goggins), un’incorporea e rancorosa ragazza (John-Kamen) che intende stabilizzare le sue molecole a ogni costo (il  prof. Fishburne è suo alleato?), lo stato finanziario dell’amico Luis (Peña) e dei suoi ciarlieri impiegati (T.I. e David Dastmalchian)…

Con un cast puntuale completato da Judy Greer e Bobby Cannavale e un bell’assist a Infinity War, la pellicola vanta la miglior apparizione di Stan Lee da I Fantastici 4 e Silver Surfer e un ancor più metacinematografico (per chi si ricordi 2 Young 4 Me) scambio tra Scott e Jane.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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