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Recensione: After

Una nuova saga pensata per il pubblico giovane si prospetta all’orizzonte. Sfortunatamente, però,ci si rende presto conto che After non sfoggia grandi qualità.

id., USA, 2019  di Jenny Gage con Josephine Langford, Hero Fiennes Tiffin, Pia Mia, Selma Blair, Shane Paul McGhie, Inanna Sarkis, Jennifer Beals, Peter Gallagher

Tratto dall’omonimo libro – e fenomeno mediatico giovanile – di Anna Todd, adattato da Susan McMartin con chiara propensione verso la saga (il materiale “letterario” ci sarebbe), l’esordio (al cinema) della scarsamente convincente Jenny Gage ibrida le torbide (e però castigate) atmosfere di Cinquanta sfumature di grigio (ma perché se ne parla ancora?) con il romanticismo stantio dei teen movies che vanno per la maggiore, richiamando anche quelli dai presupposti assai drammatici (che almeno invocano maggiore dignità: l’esempio più recente – dove pure si scorgono un ragazzo tenebroso e un laghetto – è A un metro da te).

Così nella vicenda della candida studentessa Tessa (Josephine Langford), appena arrivata al college e subito galantemente insidiata dal misterioso e forse “maledetto” coetaneo Hardin (Hero Fiennes Tiffin, figlio della regista Martha e di conseguenza nipote di Ralph e Joseph), rampollo del rettore (è lecito?) Scott (Gallagher), nel suo abbandonarsi e, legittimamente, ricredersi, convivono talmente tanti possibili rimandi da renderla una sorta di bignami (delle derive) del cinema acchiappa-adolescenti.

La fastidiosa sensazione di déjà-vu purtroppo non è mitigata da un livello di recitazione adeguato, che vanifica un consapevole tratteggio dei caratteri (qualcuno poi è scialacquato, vedi l’amichevole Landon di Shane Paul McGhie). Spiace che nel pasticcio siano coinvolte Blair (la madre di Tessa) e Beals (la quasi matrigna di Hardin). Non tutte le scene presenti nel trailer sono state incluse nel montaggio finale.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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