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Rampage – Furia animale. La recensione

Fantascienza di serie B con il solo scopo di stupire con effetti speciali. In Rampage – Furia animale l’autoironico Dwayne Johnson però intrattiene.

Rampage, USA, 2018  di Brad Peyton con Dwayne Johnson, Naomie Harris, Malin Åkerman, Jake Lacy, Jeffrey Dean Morgan, Joe Manganiello, P.J. Byrne, Demetrius Grosse

Dopo lo spiccio San Andreas riecco lo “spensierato” team Peyton/Johnson (divenuto un po’ simpatico) per l’azzardato adattamento d’un vecchio e non proprio brillante videogioco, buttato giù senza badare a nessi e credibilità (nel contesto) da due coppie di sceneggiatori concentrate solo sulla costruzione di personaggi tipo (benché funzionali).

La forzatamente pretestuosa trama riguarda un premuroso primatologo (con un passato in divisa) alle prese con il suo gorilla (albino) preferito, l’intelligente George, capace di esprimersi a segni e casuale vittima, al pari di un lupo e un’altra belva “a sorpresa”, delle indesiderabili conseguenze di un fallito esperimento genetico spaziale: crescita a dismisura e aggressività (ai danni di Chicago). Il protagonista s’allea con Kate (Harris, sempre un piacere), coscienziosa scienziata sconfessata dalla potente azienda dei fratelli Wyden (Åkerman e Lacy), spietati finanziatori della sciagurata ricerca.

Esagerazioni all’americana (come l’immagine finale sullo sfondo: la gente si fa aiutare da un mostro distruttore?!), ironia crassa, professionali effetti a volte imperfetti: un baraccone “cafonal” (vedi l’insopportabile agente-cowboy di Morgan), con prestiti vari (Il re dell’Africa e il suo remake Il grande Joe), caratteri dispersi (che fine fa, per dire, l’assistente Byrne?) e dettagli sepolti dal caos. Però è un aggiornamento della sci-fi di serie B anni ’50, con idonee sequenze gradasse (l’assalto all’elicottero, il crollo dell’edificio) e un a suo modo godibile segmento con Manganiello.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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