La danza e il balletto, la musica classica e la musica rock, al teatro Massimo va in scena l’insolito connubio Pink Floyd-Carmen Suite.
Una primavera coreutica, policroma ed eclettica, quella pensata per la stagione 2019 del teatro Massimo. Pink Floyd-Carmen Suite, pianeti d’arte lontani, che tuttavia sulla scena sembrano compenetrarsi e trovare una continuità estetica e poetica. Ma si ravvisa anche l’arguzia ruffiana della fondazione che, accanto ad una Carmen di sicuro richiamo, sistema Pink Floyd una sua recente coraggiosa produzione. Si direbbe, teoria ed utile, alla conquista del successo. Ed è auspicabile che nel pubblico si crei fame di DANZA.
Apre il programma Pink Floyd, coreografia di Micha Van Hoecke, già presentata la scorsa estate presso il teatro all’aperto di Verdura (vai all’articolo da questo link). Nella versione riadattata alla sala del Basile, il brano coreutico dell’artista Belga, si affina.
Sulle note delle originali registrazioni dei Pink Floyd, la coreografia par acquisire una rinnovata e più corposa intensità. Come se i corpi vibranti di tutti i danzatori anelassero, da quelle vibrazioni sonore uniche ed irripetibili, un’ispirazione che fosse autentica più che indotta.
Un pathos nuovo pervade la creazione. Si accentua l’espressività di ciascun danzatore, nella restituzione della personalità ritratta, o delle figure retoriche e metaforiche evocate o tratteggiate. Il corpo di ballo affronta la coreografia di Van Hoecke con maggior consapevolezza e maturità interpretativa, rispetto al debutto assoluto della scorsa estate.
Magnifica per intensità mimica, profusa su developpé profondi e por de bras dall’enfasi amplia e drammatica, Elisa Arnone nel ruolo solenne della madre. Nei ruoli principali di un giovane Van Hoecke e di sua sorella Marina, riconfermate due eccellenze brillanti della compagnia, Michele Morelli e Yuriko Nishihara. Lui linee perfette in grandi salti e renversé, lei contornata d’una delicata lievità en pointe a cui si amalgama una più partecipata spiritualità.
Estetizzante, nel suo classico asciutto e sensuale, l’imperativo Andrea Mocciardini in latex. Ottima la sincronia a specchio, immedesimata e astratta, di Gianluca Mascia e Alessandro Cascioli. Lo spazio materico del palcoscenico, tra l’elegiaco e l’industriale della video scenografia di Studio Rain, pone più risolutamente a fuoco i vari livelli coesistenti della coreografia nel loro divenire narrativo, immaginifico e simbolico. Il brano di Van Hoecke diviene più solido e godibile.
La seconda parte del programma, ha visto in scena la divina Svetlana Zakharova ne Carmen Suite. Trattasi dell’atto unico più famoso del danzatore e coreografo cubano Alberto Alonso. Rimontato dalla consorte, grande ballerina e sua musa, Sonia Calero Alonso.
Nella plaza de toro d’una focosa città spagnola, si consuma il terzetto erotico, sentimentale e luttuoso della bella e libertina Carmen, del militare Don José e del torero Escamillo. Tre personaggi a tutto tondo, per Alberto Alonso, inequivocabili. Scintillante l’etoile Svetlana Zakharova, che descrive, per mezzo del sapiente uso di gambe svettanti e longilinee e del suo corpo granitico ma flessuoso, una Carmen quanto mai libidinosa e provocatrice. La sua posa concava con la gamba arcuata poggiata sulla punta, è l’emblema sprezzante e sensualissimo della sua veemente e decisa personalità.
Sublime il primo ballerino russo Denis Rodkin nel ruolo di Don José. Lineare e spigoloso come nella regola del soldato, si ammorbidisce romanticamente sulle note del celebre intermezzo per flauto traverso. Sua speculare antitesi il torero Escamillo del primo ballerino Mikhail Lobukhin, che ad una fastosa tecnica classica associa l’atteggiamento incostante e menefreghista del seduttore (il gesto largo ed ellittico del braccio, le spalle scosse con dispetto, lo scalpitare nervoso dei piedi). Ai due uomini Carmen si aggancia come nelle figure del tango, si abbandona languida in estese spaccate e dinamici lift, si oppone con l’energia di piroette e battement.
Il corpo di ballo del Massimo, con profuso impegno e dedizione assoluta, disegna un suggestivo sfondo, ritmico e flamenco, onirico e drammatico.
Pregiatissimo il sostegno musicale dell’orchestra del Massimo, diretta dal maestro Aleksej Baklan. Minuziosa ed impeccabile la resa ondeggiante di toni, trilli, echi, rifrazioni, volumi ed esotismi propri alla partitura di Rodion Scedric che ricama sul Bizet operistico.
Il pas de deux col nero destino, col toro furioso, si va a condensare nell’atrocità del delitto. In Carmen assassinata, accoltellata, e ancora una volta concava, ma onde esser privata della sua volontà di vivere e d’amare. Vittima, come il toro (la ballerina Francesca Davoli dalle braccia curve sul capo) trafitto da Escamillo e ormai rigido in un allungato quarto arabesque, inerte si avviluppa su se stessa. Ma sorride al suo stesso infausto destino, sfrontata e beffarda, prima di accasciarsi come un fantoccio. L’eternità indomita della ribellione tra le braccia di un Don José dalla motilità ormai popolaresca e sanguigna.