Duemillimetri, dramma video corporeo del duo Muratore-Vinti debutta, dopo due anni di rinvii causa pandemia, alle porte del Pride ottobrino 2021. Giorgio e Tony, i due giovani fidanzati assassinati a Giarre nel 1980, tornano alla ribalta dei tempi sulla scena dello spazio Franco.
Duemillimetri di vita e d’amore, possono sembrare nulla, una quantità infinitesimale e trascurabile, eppure sono bastati a Giorgio e Antonio per essere eternati e vincere la morte. Duemillimetri di inestimabile valore, cui Dario Muratore e Massimo Vinti offrono in dono ogni loro risorsa e capacità performativa.
Duemillimetri, dunque, cui è consentito travalicare il centro attorico romanzesco del dramma e che, dalla scena profonda dello spazio Franco, tornano ad esser materia espansa, concreta e condivisa di riflessione.
La tenerezza di Antonio, che si rivolge a Giorgio con il suo cognome, Agatino, quasi un vezzeggiativo da tenero gattino di peluche. Il rifiuto volitivo di Giorgio, nel chiamare Antonio con il diminutivo colloquial-paesano di Tony, preferendogli un più personale e affettuoso Antò.
Il fetore di due cadaveri in semi-putrefazione, abbandonati sotto un pino marittimo dentro un agrumeto, aleggia su questa storia d’amore. Agatino e Antò appaiono, figure maschili immerse in una penombra che da parte a parte, mette a fuoco e sfuoca i loro sguardi tersi e interrogativi. Agatino e Antò, come due giovani esistenze, sprofondate in un limbo senza meta, ne giustificazioni.
I due cadaveri erano quasi abbracciati, quasi per mano, recita la cronaca dei fatti. Come se a questi due Romeo della Sicilia più recondita e tradizionale fosse interdetta persino l’estrema consolazione di morire avvinghiati. Quel privilegio della pietas che Shakespeare concesse a Romeo e Giulietta, resta strozzato e muto dinnanzi alla altrettanto disperata fine di Agatino e Antò.
E sorridono, Agatino e Antò, di quel “quasi abbracciati, quasi per mano”. E ridendo cercano di trovare una posizione fisica similare a quella descritta, che però nel rigor mortis non esiste. Restano però inermi e sgomenti, circondati da un crescendo rossiniano di epiteti malvagi ed insulti violenti.
Agatino e Antò, sulla scena, sono dunque presenti; tutto della loro vita vissuta e trapassata è vivido, palpitante e contingente.
La loro fisicità ludica e vigorosa che sottende a baci romantici mai dati, ma ne restituisce lo stesso il significato. Ben più che quasi abbracciati; molto di più, permeati l’uno dell’organismo dell’altro. Le cellule nervose di Agatino inebriate del carattere armonico e arcobaleno di Antò. Le carni di Antò pervase dalla scheggia impazzita e perforante della irrefrenabile passione di Agatino. Una intima, recondita, illimitata coesione esplorata alla luce abbacinante ed alla lente indagatrice d’un microscopio.
Ad essere incolpato del loro omicidio Francesco, bambinetto paffuto e docile di appena 12 anni (nipote di Antonio). Un bambolotto dal viso roseo e placido scagliato sulla scena, l’innocenza a far da capro espiatorio onde coprire il marcio di un’intera società. Agatino carezza il piccolo Francesco, lo prende in braccio lasciando che si appoggi sulla sua spalla, prova a strapparlo alla cattiveria umana. Il momento forse più toccante dell’intera messa in scena.
Agatino e Antò dispaiono un po’ dagli occhi del pubblico, quando la drammaturgia monodica delle loro confessioni carnali e sentimentali, si fa più netta e manifesta. Del resto il coinvolgimento empatico e catartico, specialmente quando si tratta di figure evocate dall’oltre spazio, si dissolve se travolto da un logos in piena. Forse l’unico vezzo artistico che Dario Muratore e Massimo Vinti hanno riservato a se stessi.
Ma tornano sulla scena, i due sfortunati fidanzati di Giarre, da una finestra aperta sul continuum spazio temporale. E come alleggeriti d’ogni male, e persino di qualsivoglia desiderio, giocano e si rincorrono tra il secco fogliame aghiforme di quel pino marittimo che fu pietoso ultimo luogo della loro unione.
Dinnanzi i nostri occhi, ancora una volta, chiedendosi e chiedendoci se effettivamente un pino marittimo in un campo di agrumi può dirsi differente per natura o possa semplicemente considerarsi albero tra altri alberi.