Il nostro addio a Paolo Villaggio è rispettoso e colmo d’affetto. Prendiamo commiato da lui come se fosse un caro amico
Paolo Villaggio, 84 anni, è spirato ieri (3 luglio 2017), alle ore 6 del mattino, nella casa di cure privata Paideia in Roma. A renderlo noto la figlia Elisabetta Villaggio, che sulla sua pagina Facebook ha postato una scatto in bianco e nero che la ritrae bambina insieme ad un Paolo Villaggio giovane e in forma. Alla foto Elisabetta Villaggio ha altresì affidato un suo dolce pensiero che recita: “Ciao papà, ora sei di nuovo libero di volare”.
Nato a Genova nel 1932 Paolo Villaggio fu coraggioso sperimentatore delle sue qualità d’attore, irriverente mattatore e moderno saltimbanco nelle più disparate forme d’intrattenimento e d’arte.
Il successo nazionale arrivò per lui nel 1968 grazie alla lungimiranza del giornalista Maurizio Costanzo, che lo fece debuttare nel programma d’intrattenimento televisivo Quelli della Domenica in co-conduzione con Ric e Gian, Lara Saint Paul e Gianni Agus. L’attenzione del pubblico fu immediatamente sconvolta e catturata dalla comicità strettamente “fisica” di Villaggio.
In quest’occasione il giovane Paolo presentò all’Italia due maschere da commedia dell’arte di sua creazione. L’aggressivo e sadico Professor Kranz e l’umiliato e sottomesso Giandomenico Fracchia.
Memorabile per molti lo sketch della poltrona a sacco, sul quale il povero ragioniere Fracchia non riesce mai a sedere composto, scivolando e capitombolando sul pavimento. La scenetta divenne il leitmotiv del programma TV È domenica, ma senza impegno del 1969.
Gli anni ’70 segnarono per Villaggio l’esordio letterario. Venne dato alla stampa da Rizzoli, nel 1971, il suo primo romanzo tragicomico (in realtà un compendio di brevi racconti) dal titolo Fantozzi. Ad ispirarlo, il grottesco e sfortunato ragionier Ugo Fantozzi sino ad allora un suo personaggio secondario e vagheggiato in terza persona come protagonista di caricaturali barzellette.
Le spassose traversie di Fantozzi, ormai ben delineate sulla carta stampata, furono molto apprezzate dal pubblico dei lettori. Il libro ad oggi è considerato un vero cult.
Vi fece seguito Il secondo tragico Fantozzi edito nel 1974. La fortuna di Fantozzi non si esaurì alla sola fama letteraria. Dalle vicende dei romanzi vennero tratti due film omonimi per la regia di Luciano Salce. Ad incarnare il ragioniere fu proprio lo stesso Paolo Villaggio.
Villaggio nel ruolo di Fantozzi attuò una sorta di simbiosi creativa senza precedenti. Nel plasmare Fantozzi, Villaggio fu acuto osservatore dell’uomo medio compatriota e coetaneo. Ne captò quindi fragilità, stoltezze, desideri insoddisfatti e limitatezza. Su queste, infine, riversò, come da manuale, sapienti e precise tecniche (mimiche e linguistiche) da umorista e comico.
Fantozzi, è oggi un personaggio da antologia, iconico. Tanto importante da essersi evoluto nell’aggettivo fantozziano, oggi d’uso comune e riportato sui più importanti vocabolari della lingua Italiana.
Fantozzi è divenuto saga della vita dello sventurato ragioniere, dalla giovinezza alla tomba fino alla clonazione.
Ne seguirono, infatti, nove libri e ben dieci film. Cambiarono, nel tempo, le forme e gli stili letterari. Si susseguirono i registi nonché i volti di alcuni attori, tra comprimari e spalle. Ma la fisionomia di Fantozzi, così come la sua voce, resteranno per sempre quelle multiformi e da caratterista di Paolo Villaggio.
Non solo Fantozzi. Paolo Villaggio recita per Mario Monicelli nella pellicola Brancaleone alle crociate. Ivi interpreta l’alemanno Torz e condivide il set con Vittorio Gasman, Gigi Proietti e Shel Shapiro.
Nel 1989 prende parte, insieme a Roberto Benigni, all’ultimo film di Federico Fellini dal titolo La voce della Luna, tratta dal libro Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni. Per questo ruolo si aggiudica il David di Donatello, come “Migliore attore”. Inizia così una carriera parallela come attore per il cinema d’autore.
All’ottobre del 1992 risale Io speriamo che me la cavo, pellicola diretta dalla cineasta romana Lina Wertmüller. In questo film Paolo Villaggio interpreta un premuroso maestro elementare. Trasferito dal nord a Napoli, imparerà a relazionarsi e ad aiutare i suoi piccoli studenti, figli di un società molto povera e degradata.
Al 2002, risale la pubblicazione della sua prima autobiografia intitolata Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda, dove rivela al pubblico molti retroscena della sua giovinezza. Narra, inoltre, la storia dolorosa del figlio Pierfrancesco, tossicodipendente, nei primi anni ’80 e disintossicatosi nel 1984 a seguito di un ricovero presso la comunità di San Patrignano.
Di rilevante importanza la sua partecipazione nel 2003 come Don Abbondio nella serie televisiva Renzo e Lucia (libero adattamento dei Promessi Sposi di Manzoni) di Francesca Archibugi. In quella circostanza lavora con Stefania Sandrelli e Laura Morante.
Seguirono ancora tanti libri e alcuni monologhi teatrali tra i quali si segnalano, rispettivamente: il saggio umoristico Mi dichi – Prontuario comico della lingua italiana, pubblicato nel 2011, e il monologo in tre atti Serata d’Addio, portato in scena tra il 2006-2007.
Tanta vita attraversata da altrettanta sagacia. Paolo Villaggio ha lasciato dietro di sé fulgidi sprazzi di brillante e sempre attuale comicità, dall’amaro retrogusto sociale. Vividi amarcord, che in qualche modo sapranno confortarci.
Vogliamo ricordarlo come Fantozzi mentre sbava per uno sguardo languido lanciato dall’amatissima collega di lavoro Signorina Silvani (Anna Mazzamauro). E ancora con la lingua ustionata dopo aver bevuto il caffè della moglie Signora Pina (Liù Bosisio) a 3000 gradi Fahrenheit.
O improbabile tennista insieme al collega e immancabile amico di disgrazie geometra Filini (Gigi Reder) nella nebbia di un campo sportivo, affittato per la domenica più rigida dall’anno tra le ore 6 e 7 antelucane.
Vogliamo acclamare Paolo Villaggio con l’affetto scimmiesco di sua figlia Mariangela (Plinio Fernando) e la stima lieve e devota della “seconda” moglie attrice, la straordinaria Milena Vukotic.
Vogliamo tributargli 92 minuti di applausi, come quella volta che esternò il suo alto giudizio estetico sulla micidiale opera cinematografica sovietica La corazzata Potemkin, ovvero“Una cagata pazzesca”.
Ciao “puccettone”, così come usava chiamarlo il geometra Calboni (Giuseppe Anatrelli) stringendogli le guance cicciotte con l’indice e il medio. Ci mancherai indicibilmente.