O come Buco è l’interessante drammaturgia di Giovanni Lo Monaco che amalgama tragedia classica e dramma borghese. Protagonista ne è l’individuo singolo ed i legami che caratterizzano la sua esistenza tutta
O come Buco, d’affetti e di sincerità. Un buco mostruoso, un sifone di lavandino che tutto inghiotte senza distinzione sino a restare soffocato, otturato. Il Teatro Biondo di Palermo accoglie una sì pensata e ispirata drammaturgia firmata da Giovanni Lo Monaco. Una pieçe teatrale convincente. Una scrittura che investe le tematiche da tragedia classica greca dei contorti drammi interiori del dramma borghese. Un esperimento, molto ben riuscito.
O come Buco racconta, con un linguaggio giovane ed immediato, il piccolo universo di legami relazioni e sovrastrutture sociali che gravita intorno all’individuo, alla persona.
Una rapina in banca ed uno dei malviventi che nel tentativo di fuggire alla polizia si nasconde nel vicino teatro. Una finzione, un mero espediente meta-teatrale. Ne segue, ineluttabile, la viva curiosità del pubblico avvezzo a questo genere di trovate artistiche e qualche istante di sgomento per la restante parte della platea. Ma tant’è, si entra subito nel vivo della rappresentazione.
La messa in scena del mondo esterno con tutto il suo clamore (pantere della polizia a sirene spiegate, telecamere di Tg, semplici passanti e vittime della rapina) incornicia il “buco” che si viene ad aprire intorno al malfattore fuggiasco. Le telecamere di sorveglianza del teatro, che riprendono il soggetto mentre entrando dall’ingresso maestranze e artisti cerca forsennatamente rifugio, aprono letteralmente il buco.
Il rapinatore è un ragazzo giovane, appena ventenne, di nome Oreste. Trova riparo dentro una toilette pubblica dello stabile, una di quelle con la porta che si cela sotto la tappezzeria della parete. E’ spaventato e nervoso. Oltre un muro piastrellato sente dei rumori. C’è un gabinetto attiguo al suo nascondiglio. Ivi dimora Antigone una ragazza fascinosa ma piena di fobie. La giovane afferma di passare la vita chiusa dentro questo bagno da che sua madre, attrice, è venuta a mancare.
I due giovani si conoscono, attraverso un buco nella parete divisoria. Quello stesso buco da cui farsi fagocitare e nel quale cercare riparo apre un varco di luce, sulle loro vite quanto mai tribolate. Uno spiraglio erotico e romantico, astratto e fisico tra le loro solitudini e amarezze.
Lui è un triste e incompreso Cenerentolo, con un padre assente e nei confronti del quale prova odio e rancore. Lei è la “Bestia” al femminile, che vive dei ricordi del passato e con la scusa d’esser preservata da sè stessa è convinta dal padre iperprotettivo (vigilantes del teatro) a restar chiusa dentro la piccola toilette. Unica finestra per lei sul mondo esterno un PC portatile, odioso surrogato della vita e dei rapporti autentici.
Tra i due nasce un legame, un sentimento. E sboccia nell’immediatezza di una reciproca sincronia e simpatia. Un nodo, una situazione naturale, mentale e carnale scevra di condizionamenti esterni. Che però viene fatta deflagrare da un segreto cupo. I due in realtà sono fratelli, hanno il medesimo padre. Da lui sono stati appositamente tenuti lontani, all’oscuro l’uno dell’altra per parecchi anni.
C’è un incesto Edipico, e le lacrime e i rimorsi di un padre. Nella resa dei conti si rintraccia il disfacimento del microcosmo famiglia. Inghiottito da un buco nero di prepotenze, mascherate d’amore disinteressato. C’è lo sminuzzarsi impietoso dei legami di sangue, che possono restare amorfi e sterili ma anche avere evoluzioni inaspettate e profonde.
Sulla scena di O come buco due giovani attori noti: Alessandro Rugnone e Marta Lunetta. La loro prova è convincente. Lui è irrequieto e ipercinetico; un bel ragazzo che arde dei suoi sbagli e delle sue pene. Lei invece è un anima in pena, un’ipocondriaca dell’esistenza; una fanciulla dotata tuttavia di sensualità e capace di empatia. Lunetta porta avanti un’interpretazione fatta di scatti emotivi. Rugnone dà al suo personaggio caratteristiche umane ed una veemenza di tipo naturalista (Leggi l’intervista che l’attore ha rilasciato a Verve ). Buona la prova drammatica di Franz Cantalupo, il padre dei due. Credibile Paolo La Bruna nei panni del direttore di sala nel momento meta-teatrale d’apertura. La regia che lo stesso Lo Monaco applica è attenta e composita, e sostiene attivamente l’impianto drammaturgico da lui pensato e creato.
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